Italiani all'Estero, Paramatti jr si è stabilito in Romania: “Addio, comfort zone”
Come uno scherzo del destino o della genetica, nelle stesse zone di campo calpestate dal padre... O quasi. Se Michele era più terzino, Lorenzo Paramatti è un difensore centrale ma capace anch'esso di svariare sulla fascia. Nonostante un cognome rinomato, la voglia di percorrere una strada tutta sua e senza agevolazioni, tanto da averlo portato già tre anni fa ad ingrossare le fila degli italiani all'estero. La sua nuova casa è la Romania, ed è lo stesso figlio d'arte classe '95 a raccontare in esclusiva a TMW le sue due tappe lì: “La prima esperienza è stata al Poli Timisoara, in B. Molto bella, era la prima volta che lasciavo l'Italia (era il 2019, ndr), mi fecero capitano appena arrivato. Lottavano per salvarsi, a gennaio avevano cambiato praticamente tutta la squadra e con me c'era un altro italiano, Sergio Uyi. È stata una formazione, mi ha permesso di farmi vedere e conoscere. Ho investito su me stesso, andavo in un contesto in cui sapevo delle difficoltà ma con l'obiettivo di fare bene e aprirmi un mercato all'estero, a partire dalla Romania”.
Questo l'ha aiutata poi.
“Sì, dopo la parentesi a Rimini (nel 2020, ndr) il mio procuratore mi ha portato al Craiova: aver già giocato lì mi ha aiutato. Ora vivo in una realtà bellissima, sia per strutture che per storia e ambiente. Mi sono ricreato una carriera vincendo la B e ora siamo in A per il secondo anno consecutivo. Quei mesi a Timisoara mi hanno fatto conoscere, poi sono stato bravo io”.
Una mano l'ha data aver trovato anche un italiano in panchina?
“Arrivare in un contesto nuovo è sempre difficile, anche per la lingua e l'alimentazione. Aver trovato Nicolò Napoli come allenatore e Andrea Compagno nello spogliatoio è stata una fortuna, mi hanno aiutato ad inserirmi, anche perché arrivavo non avendo fatto il ritiro. Grazie alla presenza degli italiani sono entrato bene nel gruppo. Adesso non mi sento uno straniero”.
Se l'immaginava un Compagno capace di sfondare?
“Come me si è messo in gioco e ha ottenuto i suoi risultati. Abbiamo vinto la B, riportando il Craiova su dopo dieci anni, un traguardo che tutti aspettavano. Ora è all'FCSB (la Steaua, ndr), sta facendo bene e dico che io e lui siamo l'esempio che osando, lasciando la comfort zone, si può riuscire”.
Come scatta quell'idea di abbandonare l'Italia?
“Uscito dalla Primavera, col Bologna nel 2014, ho avuto un brutto infortunio al ginocchio con tanto di operazione. Non ho giocato per un anno intero, per poi fare tanti prestiti in Serie C. L'idea estero nasce perché mi piacciono le sfide e non ho limiti. Purtroppo poi c'è che le regole del calcio italiano nelle categorie inferiori vanno a chiudere le porte ai giocatori di 23 anni, già considerati vecchi, per via delle quote di valorizzazione... In C le società devono sopravvivere e risparmiare. Sono lo stesso giocatore che a Rimini è stato retrocesso a tavolino in Serie D nel post-Covid. E poi quattro anni dopo sono in una massima serie, competitiva, anche se non paragonabile alla Serie A. Al derby c'erano 25mila tifosi, non so da noi quante volte succede... Vado in giro e mi chiedono foto e autografi, addirittura mi fermano i rumeni in Italia!”.
Ha avuto anche la fortuna di crescere in vivai di livello.
“Bologna e Inter, due dei club più importanti d'Italia anche per il valore dato al lato umano. C'è la persona oltre che il calciatore, un binomio giusto. Dell'esperienza all'Inter mi porto dietro la fortuna di essermi allenato in prima squadra con dei fenomeni che vedevo in tv fino a poco tempo prima: Milito, Sneijder, Zanetti, Coutinho, Samuel... Giocatori veramente grandi. E c'è qualcuno con cui ancora mi sento, come Mudingayi oppure Juan Jesus. Oltre il lato sportivo, sono cose che a livello personale rimarranno per sempre...”.
Il problema è nel salto dalla Primavera?
“Sì, c'è tanto distacco con le prime squadre e sono pochi quelli che osano. Si punta allo straniero. In Romania ci sono giocatori di 20-21 anni che hanno già un centinaio di presenze in massima serie. Bisogna avere il coraggio di investire sui propri ragazzi, invece si vuole il risultato immediato e se ne bruciano molti, senza aiutarli nella crescita o aspettarli. È bello giocare e sentirsi a casa, ma a volte ti vengono precluse delle soddisfazioni. E poi penso a giovani tipo Zaniolo, che basta non faccia bene un anno e viene discusso...”.
In conclusione, impossibile non cadere sul cognome e sul padre celebre.
“Mi riempie d'orgoglio andare in giro per Bologna con lui. I tifosi ancora lo fermano, è emozionante vedere che ha lasciato qualcosa. Mi ha aiutato tanto a crescere a livello umano lavorando sull'umiltà e sul sacrificio. È un vantaggio perché mi ha indirizzato verso certe cose ma mai vincolandomi, non mi ha mai imposto di giocare a calcio per esempio. E poi non si perde una mia partita, ogni volta dopo i match abbiamo un confronto costruttivo, io mi fido ciecamente. Mi dà sempre consigli su come migliorare già da quando avevo 13 anni: dall'uno-contro-uno alla gestione di certe situazioni. L'unica cosa che mi ha imposto è di impegnarmi al 100%. Quando ero piccolo finiva di allenarsi con la Juventus, io ero lì, e mi fermavo con lui, Del Piero e Inzaghi a calciare in porta. Lo stesso succedeva a Bologna... Per me è stata veramente una fortuna poter essere stato indirizzato così. Ci sono giocatori che hanno grandi qualità ma sono rimasti fregati dalla testa”.