Pioli a 360°: "Sento ancora i brividi per lo Scudetto col Milan. Solo lì ero on fire"
Stefano Pioli torna a parlare e lo fa tramite i microfoni di Radio Tv Serie A. L'ex allenatore del Milan, oggi all'Al Nassr in Arabia Saudita, ha parlato a 360° toccando in più occasioni anche i temi legati ai rossoneri:
L'esperienza all'Al Nassr
"Sta andando bene, una bella esperienza, stimolante, diversa. È quello che volevo, ci sono tante cose differenti, come le abitudini, una nuova cultura, un nuovo campionato, nuovi giocatori, è una situazione che mi sta coinvolgendo tanto. E' un paese in grandissimo sviluppo, come lo è il calcio saudita. Credo che stiano facendo un buon lavoro, c'è ancora tanto da fare, ma stanno crescendo velocemente, hanno le possibilità per investire nelle strutture, negli allenatori, nella costruzione dell'academy. Chiaramente se vengono chiamati gli allenatori europei per venire qui è per cercare di migliorare non solo l'aspetto puro tecnico calcistico ma anche quello che riguarda le strutture, le conoscenze, una cultura di lavoro. Io e il mio staff stiamo lavorando da 4 mesi per cercare di migliorare il più possibile e loro hanno dato disponibilità totale, siamo stati accolti molto bene dal club, dai giocatori e dall'ambiente, e quindi stiamo lavorando bene anche se all'inizio abbiamo ottenuto risultati migliori quando il lavoro era più difficile e adesso stiamo portando a casa risultati meno buoni a discapito di quello che avremmo meritato".
Da vicino cosa pensa di Cristiano Ronaldo
"Cristiano credo che non sia solo un campione, è di più. Rimarrà nella storia del calcio. Campioni ce ne sono, di leggende meno e Cristiano è una leggenda. Il nostro rapporto è molto semplice e facile per me, Cristiano è un professionista incredibile, vuole dare il massimo e il meglio ogni giorno, vuole aiutare la squadra. E' attento a tutto e questo è un grande stimolo per un allenatore. Anche fuori è meticoloso, nel pre, nel post, nella nutrizione, nella struttura, per come si gioca e sicuramente è un grande stimolo, un onore e un piacere allenare una persona e un campione come lui. Io parlo meglio in italiano che in inglese, lui anche sa l'italiano ma il più delle volte mi risponde in inglese e ci capiamo bene. Le cose di campo e di calcio sono abbastanza facili".
Il rapporto col cibo in Arabia Saudita
"Hanno fatto un nuovo ristorante nel club e mangiamo insieme due volte al giorno, colazione e pranzo obbligatori, abbiamo due chef internazionali. A Riyadh ci sono vari hotel italiani ma qui la possibilità di andare a cena non manca perché ci sono tantissimi ristoranti di diverse regioni ed etnie ed è piacevole provare un po' tutto".
La scelta dell'Arabia Saudita
"Quando ho lasciato il Milan ho avuto un paio di occasioni in Italia e una in Francia, ma appena lasciato il Milan non mi sentivo pronto. Poi però è arrivata questa offerta dall'All Nassr. Nella proposta hanno messo forza motivazionale, di crescita e di sviluppo, e anche forza economica. Ma onestamente dopo il Milan la mia idea era cercare qualcosa a livello internazionale, di provare qualcosa di diverso e di nuovo. Ho allenato 20 anni in Italia, non dico che ho fatto tutto perché c'è sempre qualcosa da fare e sicuramente tornerò ad allenare in Italia, ma l'idea mi è piaciuta, così come ho apprezzato il modo in cui mi hanno contattato, per i dialoghi che abbiamo avuto, la loro curiosità, la loro dimostrazione di credere fermamente nella mia persona, nel mio modo di allenare e nel mio modo di essere. Io ho sempre scelto per le sensazioni che ho avuto nei colloqui, nel cercare di capire se i pensieri potevano essere comuni, sapendo che nel calcio può cambiare tutto da un momento all'altro e questo si accetta".
Il rapporto con la lingua inglese nel quotidiano
"I improve everyday (ride, n.d.r). Avevo già fatto un programma con la mia insegnante di inglese con la quale faccio lezione due o tre volte a settimana. Avevo in programma di trasferirmi a Londra con mia moglie per un mese se non avessi trovato squadre per andare a vedere un po' di partite, un po' di allenamenti. Qua comunque io parlo inglese in campo, con la squadra quasi sempre, adesso va un po' meglio, però si, anche quella è stata una delle motivazioni perché adesso in allenamento e in partita riesco a comunicare con la squadra. A scuola avevo studiato francese e se dovessi andare in Francia non avrei problemi, dopo un mese parlerei tranquillamente, invece qui mi mancavano proprio le basi. Sto migliorando, sono contento e credo che a fine stagione potrei fare anche le conferenze in inglese".
Come è cambiato Stefano Pioli
"L'unica cosa che è rimasta, poi sono cambiato in tutto il resto, è la passione e la voglia di andare al campo, di allenare i miei giocatori, di conoscerli, di rapportarmi con loro, cercare di migliorarli, di entrare nella loro testa. Se dovessero vedermi adesso i miei giocatori che allenavo nel 99 o quelli della Salernitana del 2003 credo che mi troverebbero cambiato al 100% perché nel calcio sono sicuro che il fatto di avere la passione e di essere curiosi ti aiuti sempre a portare cose nuove e differenti. Ho sempre spinto anche il mio staff in questo, cercare di proporre cose nuove e di essere nei tempi. Io guardo tutte le partite del mondo, studio tutti gli allenatori, per come allenano, per come comunicano, per come motivano, quindi è chiaro che sono cambiato tanto. Poi ho fatto tante cose positive, ho fatto anche tanti errori, ma ho sempre imparato tanto, le lezioni mi sono servite e quindi chiaramente sono un altro allenatore e un'altra persona grazie a tutte le esperienze, ai rapporti, ai grandi giocatori, alle pressioni che ho avuto".
Nella storia solo 8 allenatori hanno allenato sia Inter che Milan
"Sapevo che non eravamo tanti. Io sono qui in Arabia con il mio prof, l'unico che ha iniziato con me, il prof Matteo (Osti) che è con me dal 99 a Bologna, quindi ogni tanto dico "Matteo certo che se ci avessero detto tutto quello che abbiamo fatto e ora siamo qui in Arabia Saudita, in pochi l'avrebbero detto". Io ancora non mi sto guardando indietro, perché credo di avere ancora tanto da fare, tante cose da poter migliorare, da poter dire e da poter ottenere. Poi ci sarà un momento, forse tra 15 anni, quando mi guarderò alle spalle e dirò "cavolo, sono partito dai Prati Bocchi a Parma e sono arrivato a Riyadh, o sono arrivato a vincere lo scudetto con il Milan, o a vincere lo scudetto con gli allievi nazionali del Bologna. Perché poi ovviamente si ricordano ad esempio lo scudetto del Milan, ma io tutte le volte che ho allenato il Chievo e ci siamo salvati, ho allenato il Sassuolo e l'obiettivo erano i playoff e ci siamo andati, oppure ho allenato il Bologna a 0 punti per arrivare a 51, quelli sono tutti stati successi che mi hanno permesso di fare quella carriera che abbiamo fatto".
Un suo ex giocatore come Marco Parolo ha sempre detto 'Pioli cercava l'innovazione già dieci anni fa':
"Fa parte del mio modo di fare, del mio staff, di provare a crescere. E secondo me anche la qualità, il livello dei giocatori nella nostra carriera è chiaramente cresciuto perché prima allenavo squadre di Serie B, poi allenavo squadre di A che si dovevano salvare, poi sono arrivato alla Lazio e ho cominciato ad allenare giocatori di un certo livello. La mia prima Lazio (il primo anno) è stata una delle squadre in cui abbiamo espresso un gioco fantastico e per un periodo di tre, quattro mesi, vincevi. Giocavamo veramente bene e Marco era uno di quei giocatori che a livello di intelligenza calcistica avresti potuto aprire a qualsiasi soluzione e qualsiasi spazio, qualsiasi movimento. Non solo lui ma anche gente come Biglia, Candreva, Felipe Anderson, Klose, Mauri e mi dimentico sicuramente qualcuno".
La morte di Davide Astori
"L'episodio di Davide mi ha segnato tantissimo. Ma è inevitabile che sia così perché chiaramente abbiamo vissuto una situazione, un'esperienza che non si augura a nessuno e che era totalmente imprevedibile, inaspettata. E quindi è una cosa che rimarrà dentro e sono ancora molto legato, e questo mi fa piacere, alla famiglia di Davide, ai fratelli, ai genitori. Li sento e sono vicino a loro. Io mi ricordo che dopo una settimana che eravamo a Firenze avevo detto ai miei collaboratori "lui è un capitano vero". Era una persona di una positività, di una generosità, di una serenità, era sempre il primo che voleva cercare il positivo nelle situazioni e voleva cercare delle soluzioni per cercare di migliorare il lavoro di tutti. E quando è venuto a mancare, soprattutto poi in quel modo, ci siamo sentiti veramente da soli. Ma per fortuna, anche per merito di Davide, si è creato un gruppo così saldo, così forte, che siamo riusciti insieme non dico a superarla, perché non la superi una situazione del genere, ma a portare avanti qualcosa che Davide aveva seminato".
La gestione umana dei calciatori
"Per me è sempre venuta prima la predisposizione a creare un rapporto o comunque a creare un obiettivo comune nel cercare di capire cosa fare e con chi fare per ottenere qualcosa. E credo che conoscere bene i propri giocatori, soprattutto a livello caratteriale e a livello mentale sia una situazione importante.
Un pensiero su Theo Hernandez e Leao
"Hanno di speciale che sono due ragazzi con i quali siamo cresciuti insieme, due ragazzi ai quali ho voluto un bene dell'anima e due ragazzi che secondo me avevano bisogno di certi tipi di rapporti ma al contempo due ragazzi che sono solari, belli, difficili perché non così continui, a volte un po' indolenti. Io con loro ho avuto un bellissimo rapporto, poi a volte mi facevano arrabbiare, perché sono due giocatori che potevano condizionare il risultato della partita sia in positivo che in negativo. Quando li ho conosciuti io erano molto giovani, soprattutto Rafa. Theo forse era il secondo anno che giocava con continuità, perché era andato dal Real Madrid in prestito ancora in Spagna. E quindi, secondo me, soprattutto arrivando in un campionato così complicato, in un ambiente così dove c'è così tanta pressione, tanta aspettativa, hanno bisogno di essere aiutati, spronati, stimolati. Perché poi aiutarli non vuol dire coccolarli sempre, a volte sì ma a volte vuol dire dargli bastone e carota in ufficio e altre volte davanti a tutti. Insomma è stato un bel lavoro e credo che abbiamo ottenuto successi importanti. Io mi sento il padre calcistico di tutti i giocatori che ho avuto, perché per me e per lo staff il primo obiettivo è sempre stato a fine anno quanti giocatori siamo riusciti a far crescere, secondo chiaramente i nostri principi calcistici ma anche morali. Questo è sempre stato il primo obiettivo. Poi è chiaro che di pari passo va il rispetto delle aspettative del club e quindi di ottenere risultati, ma da allenatore se tu mi chiedi qual è la mia priorità è migliorare il giocatore che ho a disposizione. E per migliorare il giocatore che ho a disposizione non è sufficiente solamente tutto quello che riguarda il campo, ci vuole anche altro secondo me".
Giocatori che sono diventati per lei rimpianti
"Sicuramente più di uno, perché poi il tuo modo di fare e il tuo modo di essere non funzionano con tutti e non possono piacere a tutti, è inevitabile che sia così. Credo che onestamente nel corso della mia carriera sono stati più i giocatori dai quali sono riuscito a prendere tanto, piuttosto che altri. Però chiaramente ci sono stati anche giocatori come De Ketelaere, che adesso è sulla bocca di tutti, ma è chiaro che non credo che sia stata solamente colpa mia. Chiaro che probabilmente qualcosina non ha funzionato mentre adesso con Gasperini sta funzionando anche grazie all'ambiente. Uno può essere lui, ma sicuramente ce ne sono anche altri".
La passione per le bici e il paragone col Milan
"Mi piacerebbe dire che è stato un Giro d'Italia, ma credo che sia stato il Tour de France. Con tante vette da raggiungere, tanti Gran Premi della montagna, con delle picchiate in basso perché abbiamo preso anche tante bastonate. Però poi alla fine rimarrà il percorso che abbiamo fatto, dove siamo riusciti a vincere, ma non lo dico adesso perché non ci sono più, perché credo che alla fine dei conti si possa dire tutto e niente di un lavoro di un allenatore, ma rimane quello che hai trovato quando sei arrivato e quello che hai lasciato quando sei andato via. Credo che il bilancio non possa che essere positivo. Mi fa venire ancora i brividi lo Scudetto e questo credo che non passerà mai, anche se dovessi vincere ancora, perché è stato talmente inaspettato da parte di tutti, talmente bello da vivere, con una squadra giovanissima, una magia particolare, che credo che a me rimarrà sempre nel cuore, nella testa e in tutto quello che farò. È chiaro che bisogna andare oltre, e sto andando oltre, non è che mi sono fermato lì, però rimarrà sempre".
I giocatori che ha voluto fortemente in carriera
"Tante volte sono stato accontentato e tante no (ride, n.d.r), però ho sempre avuto un ottimo rapporto con i dirigenti. Frederic e Paolo mi dicevano sempre "guardati il tizio, caio, sempronio" io poi cercavo di dare la mia valutazione, e poi dopo loro cercavano di chiudere il cerchio quando ci riuscivano e così è stato anche l'anno scorso, quindi credo che tante cose abbiano funzionato e poi qualche altra come naturalmente può succedere tra tante scelte che fai hanno funzionato meno. Adesso si usa tanto e una volta non si faceva, chiamare prima i giocatori con videochiamate, e devo dire che secondo me poche volte mi sono sbagliato. Conoscere bene i giocatori, parlarci, capire chi sono, capire le caratteristiche mentali e tecniche, credo sia molto importante, e il più delle volte le sensazioni iniziali poi dopo vengono confermate e questo è positivo".
Il tatuaggio dello scudetto
"E' nata così, all'improvviso. E non ci ho pensato, l'ho fatto subito. Ne ho un po' e sono tutte cose molto sentite".
Ha un rimpianto per la sua esperienza al Milan?
"Nessun rimpianto, io ho dato tutto, veramente tutto e ho ricevuto tantissimo, quindi assolutamente no".
Pioli in famiglia
"Con Barbara (la moglie, n.d.r) vogliamo guardare avanti e poi è chiaro che adesso siamo nonni, abbiamo tre nipoti, un altro arriverà la prossima estate, quindi è chiaro che quando diventi nonno cominci anche a guardare indietro a quello che hai fatto. E la soddisfazione nostra non è tanto nella mia carriera, che può andar bene o può andar male, ma nel vedere i nostri figli migliori di quelli che eravamo noi alla loro età e questo ci gratifica molto e ci fa pensare e poter dire che abbiamo fatto un buon lavoro. Soprattutto lei, perché è lei che è stata molto più vicina ai miei figli. Mia figlia Carlotta verrà presto a trovarmi. Gianmarco fa parte dello staff dell'Al-Nassr e sta cercando di capire il suo futuro. Continua a fare il Match Analyst, ma continua sempre di più a stare sul campo, a lavorare bene. Poi quello che sarà il suo futuro si vedrà, è molto giovane. Ormai sono quasi dieci anni che lavora quindi è partito molto giovane, ha avuto questa fortuna. È intelligente e saprà portarsi a casa esperienze importanti per quello che sarà il suo futuro, se sarà allenatore, se continuerà da analista, sono sensazioni che dovrà vivere lui. È chiaro che ha vissuto degli ambienti, delle pressioni e delle aspettative importanti. Essere figlio dell'allenatore e lavorare nello staff, nei confronti dei giocatori è molto particolare, ma questo richiede ancora più impegno, più serietà e competenza, e quindi questo lo ha sicuramente aiutato a dare il massimo. È molto attento, soprattutto ai comportamenti. Credo che si stia meritando tutto quello che sta ottenendo, perché lo merita per quello che sta facendo, non perché è il figlio dell'allenatore. Mia mamma è stata la prima che ho chiamato dopo lo scudetto e mio padre è il primo a cui ho pensato, perché i miei genitori hanno fatto di tutto per seguirmi, per motivarmi, per aiutarmi nella mia carriera da calciatore e poi da allenatore. L'hanno sempre fatto con grande discrezione e chiaramente soprattutto mio padre, che ha vissuto sempre molto in prima persona la mia carriera. Perché sai, quando hai un figlio conosciuto, allora ricevi i complimenti ma quando le cose vanno male ricevi i "eh, ma tuo figlio...". Quindi mio padre ha sempre subito troppo questa cose e gli dicevo sempre "papà guarda che sto facendo bene, sto facendo la carriera che volevo. Quindi se anche ti dicono che tuo figlio sta giocando sto male, tuo figlio è allenatore, non è bravo, vai avanti." E quindi lui avrebbe veramente gioito tantissimo per lo scudetto".
Il significato dei braccialetti
"Hanno un significato perché ogni braccialetto fa parte della mia carriera. Hanno un significato ma sono legato a tutti perché poi alla fine la mia carriera è composta da tante esperienze. Tutte le esperienze, anche quelle che sono state negative, comunque mi hanno permesso poi di essere qui e diventare quello che sono diventato".
Quando si sente on fire nella vita?
"Adesso quando sto con i miei nipoti sono sempre on fire, anche perché li vizio parecchio, quindi mi sento on fire. "On fire" secondo me deve essere comunque una cosa legata a quel momento lì del Milan. È stato troppo bello viverlo e io spero che on fire saranno i miei giocatori del momento, del futuro, le mie squadre del futuro. Pioli è stato on fire lì, perché siamo diventati tutti on fire in quell'ambiente lì, parlo di giocatori, staff, club, tifosi soprattutto e credo che debba rimanere lì, credo che la collocazione giusta sia quella. Adesso io sono Bioli, come mi chiamano qua in Saudi Arabia, e andiamo avanti".
La crescita di Reijnders
"Durante la scorsa stagione gli ho sempre detto che non la buttava mai dentro. Io già lo conoscevo, avevo visto un West Ham-AZ Alkmaar con mio figlio e con l'altro mio analista e ho detto "guardiamo questo giocatore qua perché mi è piaciuto". Per me è un giocatore di un'intelligenza, di una qualità, di una classe incredibile, però l'anno scorso ha avuto tante e tante occasioni per segnare, anche in allenamento, perché lui ha un gran tiro preciso e non riusciva a segnare, ma fa parte di annate così. Il primo anno in Italia è sempre molto difficile per i giocatori perché siamo complicati noi, siamo diversi. Più strateghi, più tattici, il calcio è più difficile da sviluppare, ma sulle qualità di Tiji non ho mai avuto un dubbio".
E Pulisic?
"E' un altro di quei giocatori con una mentalità e una qualità incredibile. Uno di quelli con il quale ho fatto il primo colloquio in videochiamata, ero già convinto prima perché lo conoscevo come giocatore, l'avevo studiato per le caratteristiche che ci servivano. L'avevo visto così focalizzato, umile, così voglioso di affrontare la nuova esperienza. Christian poi è un top come ragazzo, come giocatore, può giocare in tante posizioni. Ha la mentalità di dare sempre il meglio, sempre positivo, è stato un giocatore piacevole da allenare".
Il paragone con Conceiçao, arrivato come lei in prestito
"Io parlo della mia esperienza, credo che tu devi andare là e non devi sapere niente di quello che è successo prima, non devi chiedere "cosa facevate, come difendevate, come attaccavate, ecc". Devi portare il tuo modo di essere, devi essere te stesso, devi credere in quello che fai e poi dopo piano piano capire dove puoi arrivare e come puoi arrivare a raggiungere certi risultati. Ma credo che Conceicao abbia la chiarezza dentro di sé di quello che vuole essere, di quello che è e quindi cercherà di portare il suo modo di giocare, il suo modo di allenare, il suo modo di porsi alla squadra e poi dopo è tutto imprevedibile, secondo me è un ottimo allenatore, quindi gli auguro di fare il meglio, ma che si creino oppure no certe cose è difficile prevedere".
Ancora su Leao
"Rafa è un ragazzo stupendo. Ha di brutto (per modo di dire), il suo body language che inganna, ma Rafa è un ragazzo molto intelligente, molto sensibile, molto buono d'animo e che va un po' spronato, stimolato, aiutato. Quello che vedo è che a volte le critiche e gli elogi nel calcio sono sempre eccessivi. Io personalmente continuo a vedere una crescita continua di Rafa. Poi non so se riuscirà a diventare un top e a poter vincere un giorno un pallone d'oro. Io l'ho sempre sostenuto, l'ho sempre detto, continuo a pensare che lui possa diventare un giocatore da pallone d'oro, che la sua crescita sia continua ma dentro la crescita si possono avere a volte dei bassi, ma sarà sempre comunque un giocatore così perché certe caratteristiche rimangono, sempre crescendo e migliorando".
Pioli cosa farà nel 2025?
"Nel 2035, tra dieci anni mi vedo ancora allenatore. Ho voglia di allenare. E' vero che sto entrando nei 60, un numero che mi ha sempre dato un po' fastidio, ma credo che con questa passione allenerò ancora a 70 anni, speriamo di rivederci".