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Il mio Casemiro. Un’intervista rubata in gioventù e un percorso fatto di umiltà e perseveranza dentro la sfiducia di tanti. Dal sogno al teatro dei sogni. Tutto meritato

Il mio Casemiro. Un’intervista rubata in gioventù e un percorso fatto di umiltà e perseveranza dentro la sfiducia di tanti. Dal sogno al teatro dei sogni. Tutto meritatoTUTTO mercato WEB
mercoledì 24 agosto 2022, 13:55Editoriale
di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio

I selfie non erano prassi comune nel 2011. Io, che non ne faccio manco ora, ne chiesi timidamente, dopo una breve conversazione, uno a un giocatore speciale. Ero a Pereira, un’anonima cittadina cui la FIFA diede, senza motivo, in dono una semifinale del Mondiale under 20 di quell’anno. Il capo ufficio stampa del Brasile è rognoso, è giovane, vuol far carriera (e la farà), e mostra ai superiori inflessibilità verso i giornalisti presenti, specie gli stranieri. Io conoscevo Philippe Coutinho dai tempi del Vasco e lo accolsi al Melià di Milano, nel suo primo giorno all'Inter, con la maglia numero dieci del club carioca, cosa che mi fruttò simpatia e un minimo di fiducia, visto che per entrare nel ritiro brasiliano fu lui a darmi il lasciapassare, con la scusa di una intervista. L’unica che mi venne concessa, sempre per la responsabilità di chi avete capito. Mi liberai dalla marcatura dell’addetto stampa e provai ad andare direttamente da un gruppo di giocatori che passavano in quel momento dalla hall dell’hotel. Davanti a Casemiro riuscii a chiedere: “ ma in gioventù quante volte hai giocato difensore centrale?” “ Aspetta che le conto”, mi disse, guardò il cielo e disse: “ah, sì, mai”. Mi regalò un sorriso e in quel mentre ecco lo stopper addetto stampa che intimò l’alt: “niente interviste”. Vabbè dai, allora chiusi il siparietto con quell’unico selfie.

L'unica domanda
La mia unica domanda al brasiliano non vi suoni strana. Casemiro era reduce da una gara che aveva rimesso nelle mani del Brasile retrocedendo da centrocampista davanti alla difesa a perno dei tre centrali, tra Bruno Uvini e Juan Jesus, i due titolari. Quella difesa a tre fu riproposta anche successivamente, Case non l’aveva mai giocata, ma sembrava nato centrale dietro. Di questo fenomeno di intelligenza calcistica, avevo parlato qualche tempo prima di quel viaggio colombiano con Pierluigi Casiraghi, lo storico talent scout dell’Inter, solo omonimo del centravanti di Juve e Lazio. Il “Casi” me lo aveva descritto con toni entusiastici, ed era un uomo straordinario che però non regalava nulla: celebrava quelli bravi, e lui all’Inter quel ragazzo lo avrebbe portato: credo sia stato uno dei suoi più grandi rammarichi, insieme forse al giovanissimo Pato. Di Casemiro avevo visto qualche partita del San Paolo e raccolto tante informazioni sulla sua allora breve storia calcistica e umana. Quelle storie che ti fanno fare il tifo per un ragazzo che dal niente stava cercando di trovare la strada della gloria.

Il provino
Padre mai conosciuto, mamma Magda, tre figli da tre uomini diversi, deve badare a tutto. Inizia a Sao José dos Campos, da attaccante prolifico e finisce a fare il provino al San Paolo da centrocampista. “ L’ho chiesto io”, confessa a Jorge Valdano in una bella intervista dell’anno scorso. “Eravamo tanti al provino. Tutti si offrivano per fare gli attaccanti, io ho visto che pochi dicevano di giocare in mezzo al campo. Io non lo avevo mai fatto, ma è andata bene e mi hanno preso”. Lo stato di San Paolo è una Nazione, e arrivare nella capitale vuol dire abitare un nuovo mondo. Raccontano ancora che Casemiro, appena giunto in Avenida Paulista, la grande arteria che taglia in due la più grande megalopoli del Sudamerica, si rifiutava di mettere piede sulle grate che incontrava per la via. “Sopra lì non passo”. L’istruttore delle escolinhas del Tricolor che lo convince a mettere i piedi sulla grata diventa il suo migliore amico. In campo, però, è stato certamente ripagato. Ancora oggi Casemiro riferisce: “ quando vado sulla palla è come se andassi alla ricerca di un piatto da mangiare, come se fosse l’ultimo disponibile”. Adesso ha cinque coppe dei campioni, ma quella mentalità rimane la stessa, ed è anche per questo motivo che sono arrivati quei trofei. Quando per la prima volta viaggia in Europa ha 15 anni, il San Paolo è invitato alla Nike Cup che si disputa a Barcellona, i catalani battono proprio la squadra di Casemiro in finale. Il giovane capitano è furente per la sconfitta, non incolpa i compagni ma gli accompagnatori della squadra: “avete dato la pizza la sera prima della partita, avreste dovuto metterla come premio per la vittoria, e avremmo vinto”. A quindici anni si può parlare così? Sì, se vuoi davvero arrivare e sai, tu che il lusso non puoi nemmeno permetterti di sognarlo, che non puoi mai sbagliare, altrimenti il rischio è tornare a Sao José dos Campos. Per sempre.
Volontà, lotta e sacrificio. L’anno del debutto in prima squadra si fa subito notare, poi, anche a causa di qualche problemino fisico, perde titolarità ma mai fiducia. Quando il Real Madrid lo chiama, nel gennaio del 2013, gli propone la squadra B, il Castilla. Casemiro ha già esordito nella Seleçao, gioca stabilmente nella squadra allora leader del movimento brasiliano e deve accontentarsi di giocare nell’equivalente della nostra serie C.
L’umiltà è un’altra chiave della scalata di questo incredibile centrocampista. Che passa tutta la trafila, squadra B e prestito, prima di tornare al Real. Rafa Benitez lo impone in mezzo al campo ma il pubblico non lo capisce: lui con le stelle del Madrid?. Inizialmente Zidane non lo mette dentro poi ecco il dialogo che Casemiro attendeva: “devi avere solo un po’ di pazienza - gli suggerisce il francese - perché tu, tra poco, diventi titolare e non lascerai mai più il posto.”

Detto, fatto. Storia.
Torno un attimo in Colombia e a Pereira. Poco prima della finale il tecnico del Brasile under 20 mi dice che “ se Casemiro avrà un futuro europeo, sarà solo da centrale difensivo”. In troppi hanno sottovalutato il signor Carlos Henrique José Francisco Venancio Casimiro detto Casemiro, che ora dal suo salotto vede le miniature di una foresta di piccole champions, quelle che ha vinto da protagonista. Un sogno, che aveva raccontato al suo primissimo allenatore: diventerò un grande giocatore, gli aveva detto. E il Teatro dei Sogni ora lo aspetta. Sicuro gli chiederanno un sacco di selfie a Manchester, e lui sorriderà alla sua maniera. Ricordando quando si imponeva di guardare da un’altra parte perché non poteva chiedere a mamma Magda di comprargli il suo yogurt preferito. Ora è milionario. Si è meritato tutto Casemiro, difficile non fare il tifo per lui.

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