Kevin de Bruyne, rimpianto decennale del Chelsea di Mourinho. Campione d'Europa con il City

È il simbolo di una generazione d'oro di calciatori, ma anche quello delle mancate finali. Perché Kevin de Bruyne è probabilmente il più talentuoso - ex aequo con Eden Hazard - dei prodotti del calcio belga e di quella sfilza di campioncini primi anni novanta che dovevano lanciare la sfida al mondo intero. Ci hanno provato a Russia 2018, probabilmente essendo la miglior squadra per gioco espresso, arenandosi però alla furbizia e al mestiere della Francia, forse ingiustamente finalista, certamente giusta vincitrice nella finale di Mosca.
De Bruyne è stavo candidato sette volte per il Pallone d'Oro. Per chi agisce nel suo ruolo, cioè da mezz'ala con compiti offensivi, non è così semplice. I riflettori finiscono sugli attaccanti, quasi sempre. Infatti non è detto che non sarà Erling Haaland a portarsi a casa il Pallone d'Oro, anche se Messi ha vinto un Mondiale e questo può cambiare molto. Protagonista assoluto del Triplete del Manchester City di quest'anno, non è però riuscito a giocare per intero la finale, per la seconda volta consecutiva. Al Dragao di Oporto, contro il Chelsea, era durato sessanta minuti come centravanti ombra. Stavolta con l'Inter è rimasto in campo ancor meno, con la fortuna però di alzare la Coppa e diventare Campione d'Europa.
Non un successo banale per chi, in carriera, ha preferito gli assist ai (comunque tanti) gol siglati. Facilità di calcio e corsa, fantasia e tecnica, intelligenza calcistica e un ottimo sprint. De Bruyne è un centrocampista moderno, completo, capace anche di difendere quando ce n'è bisogno, ma che spesso con Guardiola è solo pressing e mantenimento palla. Ed è probabilmente il più grande rimpianto del Chelsea degli ultimi dieci anni: comprato nel 2013-14 con Mourinho alla guida, nove presenze e un solo assist, finendo poi al Wolfsburg dopo sei mesi per 18 milioni. La squadra della Volkswagen ne riceverà 78 proprio dal City, un anno e mezzo più tardi.
