Infantino, Veliz e il segreto della nuova generazione targata Rosario (Central)
“Gli inglesi hanno inventato il calcio, gli argentini lo hanno perfezionato”. È una delle tante frasi, forse la più nota, che si escogitano per comprendere e giustificare la produzione di talento sudamericano rispetto a quello britannico. Invano. Perché il calcio spesso non trova una giustificazione razionale, e qui scomodiamo pure Eduardo Galeano che avrà avuto pure parenti nati Oltremanica ma era perfettamente rioplatense. “Gli inglesi hanno inventato la tecnica, gli argentini l’estetica del gioco”. “Gli inglesi hanno inventato il Futbol, i rioplatensi la passione per il Futbol”. Per la lista infinita di frasi, tanto il concetto è chiaro, chiudiamola pure qui. Però quando si parla di argentini e rioplatensi, si tende a inserirli nel calderone. Facendo torto all’Uruguay, ma non solo.
C’è una città che sta a trecento chilometri dal Rio de La Plata ed è misteriosamente e magicamente calcistica, forse più di tutte.
A Rosario non è solo nato probabilmente il giocatore più importante della storia di questo sport che poi non è esattamente uno sport, ma una incredibile serie di calciatori che è decisamente impossibile nominare tutti. Prima di essere accolti, e poi ancora rispettati, dal movimento calcistico della città e della provincia di Buenos Aires, a Rosario si erano costruiti una lega regionale per confermare come il gioco del calcio da quelle parti è una cosa davvero seria. Così nasce, al sorgere del Novecento, la Liga rosarina de Futbol. Dura trent’anni, poi le due istituzioni con maggiore seguito, Newell’s Old Boys e Rosario Central entrano nel circuito dell’AFA, la federazione argentina, e si inglobano al campionato “nazionale”, che diventa appunto davvero nazionale a partire da quel tempo, visto che fin lì era un torneo della Provincia di Buenos Aires. Ma si sa, la Avenida General Paz, l’ideale frontiera di demarcazione fra la capitale e il resto del Paese, segna anche due modi di vedere il mondo. Lasciamo le analisi ai sociologi ma è un fatto che non può essere sottaciuto, e a Rosario è sempre tema di dibattito, il fatto che molto spesso le squadre della capitale santafesina abbia fornito tanti giocatori a prezzi di saldo alle squadre di Buenos Aires.
Questa diaspora non ha interrotto, anzi, ha quasi favorito, la continua produzione di calciatori della regione. Tanto che esistono ancora, per ogni provincia, un campionato, o in generale una miriade di tornei locali che certificano come questa terra e la propria capitale, Rosario, in cui si giocano lì pure tanti campionati minori, come La città del Calcio (ricordo quando proponemmo, con Federico Buffa, a SKY, questo titolo per il nostro speciale su Rosario, non in molti furono persuasi…).
In quei tornei naturalmente pescano le due contrade che animano quel palio cittadino che si respira ogni giorno in città: il Central e il Newell’s. Ultimamente la produzione migliore è quella “canallas”, e tanti nipotini di Angel Di Maria potrebbero presto sbarcare in Italia.
Gino Infantino, classe 2003, rosarino purosangue, viene cooptato dopo la formazione all’ADIUR, una meritoria istituzione della città (Agrupación Deportiva Infantil Unión Rosario). La Fiorentina avrà a disposizione quello che in Argentina chiamano “volante creativo”, un centrocampista con buona visione di gioco, è mancino ma sa usare il destro e sa giocare a testa alta in diverse zone di campo: normalmente sta in mezzo, nella sala macchine del centrocampo, ma in qualche occasione può essere alzato per rifinire e concludere (ha una buona capacità di tiro). Ragazzo serio e sobrio, più volte nelle giovanili, anche nell’ultima Argentina under 20 è stato il capitano della squadra, segnale di leadership riconosciuta. Caratteristica notata proprio da Kily Gonzalez, ex esterno di Valencia e Inter, che lo ha prestissimo fatto debuttare: il ragazzo era maturo e sapeva gestirsi dentro e fuori dal terreno di gioco (ha già più di 50 presenze tra i professionisti, e già assaggiato stadi davvero intimidatori, a partire dal suo, il Gigante de Arroyito, forse il più rumoroso e caldo d’Argentina).
Sempre il Kily ha scelto di far debuttare Alejo Véliz, anche se l’attaccante ha dato il suo meglio nella stagione con Carlitos Tevez sulla panchina. Oggi Véliz è l’attaccante in patria con maggiore proiezione futura e in molti pensano che entrerà nelle prossime convocazioni di Scaloni per la nazionale maggiore. Lui pure classe 2003, Véliz è un vero prodotto di quelle leghe della regione di Santa Fe di cui parlavamo. Provincia profonda, nativo di Bernardo de Irigoyen, un piccolissimo borgo dove il Central lo ha pescato osservando questo ragazzo di 14 anni che giocava e faceva a sportellate con trentenni nelle leghe provinciali: roba da battaglia, quasi da sopravvivenza, dove oltre a giocare bisogna a nche portare a casa la pelle. Al Central arriva quindi piuttosto tardi, tanto che le presenze nelle giovanili del club non arrivano a cinque: il debutto nella Reserva, la squadra B, è subito impattante: entra con la sua squadra sotto 1-0 contro il Central Cordoba e ribalta la partita con una tripletta. Una liberazione per questo ragazzo che, giungendo da fuori città, era alloggiato alla Casa Hotel Angel Zof, la pensione del club, intitolata al maggiore talent scout, oltre che tecnico, della storia del Central (Di Maria è roba sua…). La pandemia lo aveva costretto a tornare nel paesino, frantumando speranze e certezze. Il ritorno alla normalità, o comunque a una gestione più controllata del virus, gli permette di tornare a Rosario, e da quel momento non smette più di segnare. Gran fisico, straordinario nella finalizzazione, specie di testa, Véliz è molto migliorato nello smarcamento e nella protezione di palla qualitativa anche se, come gli dicono anche ora gli allenatori, non deve troppo concentrarsi sulla lotta e pensare più ad associarsi coi compagni, i tempi di Bernando de Irigoyen sono il passato, anche se nella testa del ragazzo sono sempre vivi.
Dopo Facundo Buonanotte (2004) al Brighton, Mateo Tanlongo (altro 2003) allo Sporting, ecco il turno di Infantino e Véliz, senza dimenticare Lautaro Giaccone, Luciano Ferreyra, Kevin Ortiz, giusto qualche anno in più e loro pure pronti per l'Europa. Al Rosario Central continuano a sfornare talenti, ma stavolta non li vendono più a Buenos Aires, hanno definitivamente aperto le frontiere al mondo. Che li ha prontamente accolti riconoscendogli una cultura di calcio davvero profonda. Merito della formazione al Central ma anche, evidentemente, di quelle leghe rosarine in cui sono passati tanti di loro. Hanno una magia unica. Quella della terra del futbol.