2 gennaio 1971, il disastro di Ibrox. 66 morti per asfissia, 200 rimangono feriti

Il 2 gennaio del 1971, a Glasgow, si gioca l'Old Firm. Lo scontro più atteso del calcio scozzese. Fra i protestanti dei Rangers, in versione casalinga quel giorno, e i cattolici dei Celtics, davanti a ottantamila persone. La sede della contesa è l'Ibrox Park che, fino al minuto ottantanove, stava vivendo una giornata di quasi festa. Poi, però, arriva il vantaggio degli ospiti, con alcuni tifosi che decidono di abbandonare gli spalti per un rientro più rapido a casa. Scelta errata normalmente, figuriamoci in quell'occasione.

Perché Colin Stein, attaccante dei Rangers, arriva sul pallone del pareggio per l'1-1 finale. A quel punto tutti quanti vorrebbero fare marcia indietro per cercare di esultare con i propri beniamini. Seconda scelta errata, perché un bambino cade dalle spalle del padre, provocando una calca di dimensioni importanti. Anzi, quasi epocali: perché per l'asfissia, il calpestamento e quant'altro, 66 persone morirono e altre 200 rimangono ferite.

È il secondo disastro di Ibrox, dopo quello di inizio secolo, con una causa diversa. Perché il 5 aprile 1902, nella sfida fra nazionali di Scozia e Inghilterra, una parte di tribuna crolla, causando la morte di 25 persone e il ferimento altri 300. Due incidenti profondamente diversi fra loro che però portarono i dirigenti dei Rangers a decidere di creare uno stadio in totale sicurezza. Peraltro nel 1961 ci fu un altro incidente, dove persero la vita altre 15 persone.