Franco Scoglio il Professore. Adorabile cocciuto

Intervista iconica del professor Scoglio.
Stagione 1989/90, Cremonese-Genoa 0-1.
Franco Scoglio, durante l'intervista, sente un giornalista parlare ad alta voce e sbotta: "lei deve stare zitto! non ci siamo! io non ho il potere di concentrarmi e pensare a lei, altrimenti dico parole ad minchiam! Il problema è questo qui". Il noto giornalista Rai Salvatore Biazzo cerca di riportare la calma esclamando: "C'è un po' di nervosismo". Scoglio a queste parole si incazza ancora di più: "No, non c'è nervosismo! Io ho bisogno di serenità per esprimermi, altrimenti a caldo non faccio niente".
Indimenticabile professore
FRANCO SCOGLIO: IL PROFESSORE.
riportiamo un pezzo di Luca Serafini dal sito filippogalli.com
Se un limite ha avuto, il Professore, è stato quello di voler adattare sempre e comunque le sue idee ai giocatori, anche quando non erano in grado di assimilarle o metterle in pratica.
Franco Scoglio però non era cocciuto, irremovibile per orgoglio, o miopia, o testardaggine: lui ci credeva fino in fondo. Non aveva dubbi. Con questa sua adorabile arroganza, supportata da una favella colorita, ricca, gestuale, animata, si era conquistato la simpatia di tutti al pari di un’ammirazione profonda, perché la coerenza – anche a scapito del risultato – premia per la fatica che comporta e la determinazione da cui è accompagnata.
Era un po’ la caratteristica di quella generazione integralista che ebbe in Arrigo Sacchi il massimo esponente, ma anche Marchioro, Orrico (un po’ prima), Maifredi, Zaccheroni… fino a Sarri e Guardiola che è oggi forse l’ultimo erede di quell’epopea, tendente a privilegiare il gioco e la squadra piuttosto del singolo giocatore.
Laureato e poi insegnante di pedagogia, Scoglio ebbe una minuscola – quasi invisibile – carriera da calciatore, iniziando ad allenare a soli 30 anni, nel 1971, a Gioia Tauro, vivendo i picchi nella sua Messina (portando la squadra in serie B nel 1986) e poi sulla sponda genovese rossoblù con un’altra promozione dalla B alla A nel 1989.
Al Genoa il suo capitano era il povero Gianluca Signorini, autentica bandiera del club. Per lui Scoglio aveva non una predilezione, ma un’autentica venerazione.
Quando, con l’operatore, raggiunsi il ritiro estivo genoano ad Acqui Terme, per uno dei servizi degli speciali di SportMediaset nel 1990, spiegai all’allenatore che avremmo dovuto realizzare qualche intervista e riprese di allenamento.
Rispose: “Nessun problema, parlate con Signorini e fate la scaletta con lui”. Rimasi un po’ spiazzato: “Abbiamo parlato con il vostro ufficio stampa, abbiamo pianificato…”. Mi interruppe: “L’ufficio stampa vi ha autorizzati a venire qui, adesso per la regia dovete affidarvi a Signorini”.
Nacque con Scoglio un rapporto di grande simpatia, di reciproca stima, che proseguì nei moltissimi anni successivi quando iniziò a frequentare più gli studi televisivi (Antenna 3 con Maurizio Mosca, Mediaset, Primocanale a Genova) delle panchine.
Io me lo trovavo ovunque, perché collaboravo per tutte e tre le emittenti, compresa quel Primocanale – conduceva Fulvio Collovati – dove ero spesso ospite con Claudio Onofri e Massimo Brambati.
Negli studi di quella televisione Franco morì in diretta il 3 ottobre 2005, dopo una vivace discussione telefonica con il presidente del Genoa, Enrico Preziosi, così che si avverò una sua goliardica profezia di qualche tempo prima: “Morirò parlando del mio Genoa”.
Mi ricordo una battuta, in quel suo ultimo periodo di vita in cui Milan e Juventus dividevano scudetti e piazzamenti: “Sono le uniche due squadre che fanno movimenti sincronizzati, le altre si muovono come le alghe sott’acqua”, mimando con le dita delle mani.
Siciliano di Lipari, sferzante e poco incline al convincimento, Scoglio si è distinto ovviamente per le sue idee, ma soprattutto per i toni musicati dalla cadenza, per frasi a effetto subdole come stoccate. Ne ho trovata una raccolta su un sito, in occasione dei 18 anni della sua scomparsa.
“Non amo parlare ad minchiam”. “Tutte le mattine devo alzarmi odiando qualcuno”. “Che libidine quando perdo! La sconfitta mi esalta come la vittoria: posso riassaporare stimoli insostituibili”. “L’avversario non decide: sono io che decido come deve giocare”. “Sono un allenatore di strada, un po’ puttana, che si arrangia”. “I miei calciatori devono avere attributi tripallici. Quelli che hanno tre palle fanno il pressing, quelli che ne hanno due giocano al calcio, quelli che ne hanno una fanno le partite tra scapoli e ammogliati”. “Non ho la coppola in testa e nemmeno la lupara incartata, sono siciliano e con me il figlio di Gheddafi non ha mai giocato e non giocherà mai: non amo subire ricatti da parte di nessuno”. “Ci sono 21 modi per battere un calcio d’angolo, ma solo 12 per battere una punizione”.
Aneddoti che dipingono molto bene il professor Franco Scoglio: ce lo ricordano più vivo che mai su una di quelle panchine, su una di quelle poltrone negli studi televisivi, in cui si parlava di calcio.
In un altro modo, né migliore né peggiore, ma diverso, come uno strascico romantico.
