Vulcanico, scaramantico, generoso e innamorato del Palermo. Il ricordo di Maurizio Zamparini
Vulcanico, passionale. Speciale. Maurizio Zamparini era agli occhi di tutti il presidente mangia allenatori. Quello che se andava male una partita del Palermo dovevi aspettarti di tutto. A farne le spese durante le partite che non andavano bene era prima degli allenatori o dei direttori sportivi il suo povero pappagallo, pronto a raccogliere le sfuriate in differita. Non guardava le partite della sua creatura dal vivo, neppure quando decideva di far visita alla squadra a Palermo. In quel caso l’itinerario prevedeva un discorso al gruppo e una chiacchierata con l’allenatore e poi il giorno della partita il giro in taxi fino al Santuario di Santa Rosalia con la radio del tassista rigorosamente spenta. Il Presidente preferiva farsi raccontare le partite, magari guardarle dopo la fine e analizzarle poi con i suoi uomini di fiducia. E se il Palermo perdeva una partita, il lunedì per l’allenatore di turno era il momento delle spiegazioni. Il Presidente amava discutere di calcio con i suoi allenatori, il direttore sportivo e i consulenti italiani e stranieri. Già, i consulenti stranieri, quelli che nell’ultima era rosanero probabilmente hanno anche un po’ approfittato di lui contribuendo alla dipartita del Palermo che lui mai avrebbe voluto. Ma questa è un’altra storia.
Legato al suo Palermo in maniera morbosa un anno le provò tutte pur di ribaltare una stagione che di regalare soddisfazioni non voleva saperne. Ingaggiò un numerologo siciliano incaricato di… gufare gli avversari. Non diede gli effetti sperati, Zamparini esonerò anche lui. Come quei maghi, uno del Nord e uno del Sud, che a suo dire avrebbero dovuto evitare la retrocessione del Palermo nell’anno disgraziato di Sannino, Malesani, Gasperini e di nuovo Sannino. Missione fallita. Ma il Palermo ripartì subito con rinnovato entusiasmo. Pronto a riconquistare la Serie A. Ed effettivamente ci riuscì al primo tentativo in una stagione iniziata con Gattuso e finita trionfalmente con Beppe Iachini.
Quando c’era il mercato si fidava del suo direttore sportivo ma anche del piccolo Armando, il figlio passato a miglior vita qualche mese fa. Era il suo consulente preferito, quello che poi ti chiedeva un parere: “Che dici? Come lo vedresti nel Palermo? Ne parlo con papà”. Ma aveva già deciso di parlarne, al di là dei pareri altrui.
Testardo e generoso, Maurizio Zamparini ha restituito dignità sportiva alla città di Palermo facendo toccare vette altissime. Era un uomo generoso anche con i meno abbienti della città e con chiunque gli chiedesse aiuto. Uno che non badava molto alla sostanza quanto alla forma. E se gli chiedevi una notizia di mercato o ti mandava a quel paese salvo poi richiamarti dopo qualche ora oppure ti chiedeva un’opinione. E vai con i confronti, anche gli scontri se gli dicevi che Balogh e Posavec sarebbe stato meglio non comprarli. Ci credeva, era testardo. Buono, generoso, a modo suo intenditore. Perché tutto ciò che diceva era comunque legato alle sue convinzioni. Anche quando avrebbe voluto vedere Edinson Cavani terzino. Ma amava il confronto. E se gli dicevi sempre di sì per paura dell’esonero prima o poi finivi nel tritacarne. Se lo contraddivi invece potevi anche aspettarti l’esonero, ma poi ci ripensavo e ti richiamava. Bisognava saperlo prendere. È stato l’uomo della rinascita del Palermo. La città che ha toccato il cielo con un dito e lo ha amato ed odiato. Sarà ricordato per sempre, nel bene e nel male. Ma chi lo ha conosciuto non potrà mai dire una parola fuori posto su di lui. Il miglior presidente dal martedì al sabato. Gli sarebbe piaciuto rientrare nel calcio, era pronto a comprare la Triestina. Non c’è stato tempo. La morte del figlio Armando lo ha distrutto psicologicamente e non solo. Poi è arrivato anche il suo momento. Ma non è finita: attenti al prossimo esonero, lassù sono avvisati…