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Lo scudetto con la Samp, la Champions, il Chelsea ed Euro2020: addio a Gianluca Vialli

Lo scudetto con la Samp, la Champions, il Chelsea ed Euro2020: addio a Gianluca VialliTUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
venerdì 6 gennaio 2023, 10:38Serie A
di Simone Bernabei
fonte Andrea Losapio

"Io ho paura di morire, eh. Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall'altra parte. Ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire. Mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita". Gianluca Vialli negli ultimi cinque anni ha dovuto combattere con un male oscuro, un tumore al pancreas che lo aveva colpito forte, fortissimo, quasi mortalmente. Due fessure scavate dalle occhiaie, quasi irriconoscibile, molto più magro rispetto a qualche mese prima, nella prima apparizione pubblica del 2018. Poi la lenta risalita, il libro scritto sulla malattia dove ha raccolto 98 storie (più una) per affrontare le sfide più difficili. Anche l'ultima grande vittoria della propria carriera, con la coppa dell'Europeo alzata al cielo nella notte di Wembley, da capo delegazione con il suo amico fraterno, Roberto Mancini.

Nato a Cremona il 9 luglio del 1964, da una famiglia trentina, cresce nella città lombarda partendo dall'Oratorio di Cristo Re.
Dovrebbe andare al Pizzighettone, da un professore d'italiano chiamato Franco Cristiani, che allena i giovanissimi e lo vorrebbe per la sua squadra. E lo può schierare per cinque partite, quando viene scoperto di essere per due giorni un fuori quota che non può militare in quella squadra. Allora arriva la Cremonese, con 500 mila lire, che prende lui e Malvassori. "Più bravo di me", dice Vialli in più di un'occasione. Con la Cremo esordisce a sedici anni, in C1, venendo promosso in B. Vincenzi e soprattutto Mondonico lo portano a confermarsi con tredici gol in due stagioni e una quasi promozione che svanisce per poco, negli spareggi. Solo i primi bagliori di una carriera che decollerà definitivamente l'anno dopo.

Perché nell'ultima stagione in grigiorosso di gol ne fa dieci, portando la Cremonese in Serie A, quasi una chimera. L'ultimo regalo prima di abbandonarla definitivamente, perché Paolo Mantovani - presidente della Sampdoria - lo acquista.
E qui nasce la storia della coppia più bella del mondo, brano di Adriano Celentano del 1968, che Vialli e Mancini fanno rivivere in otto anni da urlo. Le prime due stagioni sono le più complicate, perché se Mancini era il vero astro nascente del calcio italiano, Vialli era più da classe operaia. Doveva affinarsi, diventare qualcosa di più. Vent'anni e una casa fra Nervi e Bogliasco, in riviera. I primi due anni arrivano tre e sei gol, ma dopo è un'esagerazione: sei campionati consecutivi in doppia cifra, quando il campionato italiano terminava con il capocannoniere tra i 15 e le 18 reti, altri tempi e altri difensori. E anche altre maniere di lasciare spazio agli stopper di dilettarsi con le gambe altrui.

Arriva la prima Coppa Italia. Ma anche Vujadin Boskov dopo il regno di Bersellini e il Milan a offrire quindici miliardi. Sarebbe il grande colpo di Berlusconi, uno dei pochi che rimarrà sulla carta da metà anni ottanta in poi.
Mantovani non se la sente di rifiutare per il proprio gioiello, così ne parla con Vialli che ringrazia e rispèdisce al mittente la proposta, perché in testa ha già forse l'idea dello Scudetto con la Sampdoria. Boskov, appunto, ma anche Mancini e lo stesso Presidente, tutte componenti irripetibili per provare a raggiungere un Tricolore che sarebbe stato pari a quello del Verona di qualche anno prima. Poi Juventus, Napoli, Real Madrid, tutti rifiuti e un contratto lunghissimo con la Sampdoria, fino al 1992.

Nel 1989 la prima finale europea, con il Barcellona. 2-0 firmato da Selinas e Rekarte.
Ma anno dopo anno, alla Sampdoria arrivando grandi giocatori. Da Lombardo a Katanec, Cerezo, Pagliuca e Dossena. Le Coppe Italia si moltiplicano, fino a tre, mentre quella delle Coppe arriva nel 1990, contro un avversario scomodo ma più morbido rispetto ai blaugrana, l'Anderlecht. Gianluca Vialli è diventato oramai la stella della Sampdoria - in collaborazione con Roberto Mancini - ed è pronto al Mondiale italiano. L'Italia è chiaramente la favorita numero uno, ma il posto di star assoluta della competizione se lo prende Totò Schillaci. Mancini ebbe poi l'occasione di commentare così l'operato di Vicini: "Un cieco in panchina". Non una situazione edificante.

Nel 1990-91, l'anno sportivo dopo la grande delusione delle Notti Magiche, Mancini vuole Mikhailichenko a tutti i costi e pressa Mantovani per acquistarlo. Andrà così così.
Invece Vialli travolge tutto e tutti, segna diciannove gol in ventisei partite, la Sampdoria diventa Campione d'Italia. Come tutte le più belle cose durò un giorno come le rose, ma con in mente una serata molto chiara. Il 20 maggio del 1992 c'è Wembley, c'è ancora il Barcellona, nella finale di Champions, dopo avere battuto Rosenborg, Honved, Stella Rossa, Panathinaikos e ancora l'Anderlecht, un'altra volta. E come quella precedente purtroppo sono gli spagnoli ad avere la meglio, 1-0 gol di Koeman.

L'avventura di Vialli alla Sampdoria finisce lì, in un'estate caldissima. 40 miliardi di lire più Mauro Bertarelli, Eugenio Corini, Michele Serena e Nicola Zanini. Questo quanto sborsa la Juventus per il centravanti italiano più in voga di quel principio di anni novanta.
L'esperienza juventina è bivalente: una Coppa UEFA con Trapattoni, ma più di qualche difficoltà di ambientamento. Poi Marcello Lippi che lo rigenera e lo rilancia, anche da capitano e con tutti gli occhi addosso, chiudendo il cerchio all'Olimpico di Roma il 22 maggio del 1996, quando finalmente raggiunge quella Champions League che era scivolata via contro il Barcellona, regalandosi così la vittoria più importante della carriera contro l'Ajax, ai rigori.

La legge Bosman lo porta al Chelsea, andando ad affiancare gli altri italiani. Zola e Di Matteo su tutti
Vince la Fa Cup e la Coppa di Lega Inglese, oltre alla Coppa delle Coppe in finale, eliminando il Vicenza di un suo futuro compagno di squadra come Gabriele Ambrosetti. In quel momento è già diventato allenatore-giocatore, qualcosa che andava di moda in quegli anni e che, come figura, è praticamente scomparsa. "Da allenatore hai molte più preoccupazioni. Non ti devi allenare, ma devi essere sempre un passo avanti agli altri. Pensare a loro. Motivarli. Mi sento responsabile di tutto ciò che succede nel club. Difficile rilassarsi, farci sopra una risata, perché sei quello che deve far filare tutto per il verso giusto". Le sue parole, prima di firmare per il Watford nel maggio del 2001, con Elton John che prova a inserire ingenti capitali. Non andrà bene e Vialli saluterà dopo una sola stagione, chiudendo con la carriera da allenatore e iniziando quella da opinionista, con grandi risultati.

Il cruccio, probabilmente, per un Campione da 657 partite e 259 gol in carriera, quattro Coppa Italia, 2 Scudetti, 2 Supercoppe Italiane, 1 Coppa d'Inghilterra, 1 Coppa di Lega inglese, 2 Coppe Coppe, 1 Coppa UEFA, una Champions, una Supercoppa UEFA, una Charity Shield, era quello legato alla Nazionale.
Un colpo di spugna che ha dato l'anno scorso, quando Roberto Mancini lo ha richiamato per l'ultima grande avventura della sua carriera, dopo avere contratto il Covid e rischiato più volte di finire nel buio prima del tempo. "L'ansia di non poter portare a termine tutte le cose che voglio fare, il fatto di essere super eccitato da tutti i progetti che ho, è una cosa per cui mi sento molto fortunato". Vialli era un vincente e ha vinto tutto quello che poteva vincere.

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