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Luciano Miani, l'uomo che non fece rimpiangere troppo Antognoni

Luciano Miani, l'uomo che non fece rimpiangere troppo AntognoniTUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
ieri alle 22:39Nato Oggi...
di Redazione TMW
fonte IL CENTRO
Luciano Miani (Chieti, 14 febbraio 1956) è un dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo difensore e centrocampista.

Luciano Miani, 69 anni, nativo di Chieti e oggi stabilitosi a Rosciano (provincia di Pescara),
Della sua carriera è rimasta soprattutto impressa la bravura che dimostrò sostituendo Giancarlo Antognoni quando si fece male nella stagione 1981-82 (il tremendo scontro con Martina in Fiorentina-Genoa) ma in realtà giocò anche insieme a Giancarlo tanto che quell’anno collezionò 22 presenze su 30 e 4 gol.

Fu però lui che accettò di prendere quella maglia numero 10 molto pesante e lo fece così bene da segnare anche diversi gol decisivi.
Ma in realtà a lui non pesava nessun numero tanto che, escluso il 9, nella sua carriera li ha avuti tutti arrivando addirittura a giocare in porta ai tempi dell’Udinese (1980-81), rilevando Della Corna infortunato a sostituzioni finite.
Da giovane, nella Primavera della Juventus con Paolo Rossi e Marangon che avrebbe ritrovato a Vicenza, faceva il libero ma con Scirea speranze di giocare ce ne erano poche e così andò prima alla Cremonese in C (1975-76), poi alla Ternana in B e al Pisa ancora in C, arrivando a esordire in A nel Lanerossi Vicenza nel 1978-79 quando GB Fabbri iniziò a impiegarlo a centrocampo.
Dopo un altro anno in biancorosso passò all’Udinese in A e appunto nell’anno di cui si è parlato all’inizio si trasferì alla Fiorentina rimanendovi per 3 anni e subendo a sua volta un brutto infortunio in uno scontro con Platini che ne ha condizionato molto il successivo rendimento. Arezzo in B nel 1984-85 e Cagliari sempre in B nei 2 campionati successivi sono state le sue ultime squadre a quel livello per un totale di 83 partite e 7 gol in A, 115 e 1 rete in B. Ha poi giocato ancora con Alessandria, Vicenza e Schio.

IL SUO RAPPORTO CON PAOLO ROSSI:
Era il 1969, al campo della Civitella, a Chieti. Entrambi premiati al torneo giovanile, quello in cui c’era anche Moggi allora osservatore della Juve. Era una sorta di passerella sotto gli occhi dei talent scout.
Poi?
Ci siamo ritrovati nel 1972 a Torino alla Juventus, al settore giovanile. Lui dalla V. Cattolica Firenze e io dal River 65. Siamo stati insieme fino al 1975. Abbiamo fatto tutta la trafila fino ai margini della prima squadra. Io libero, lui centravanti. Abbiamo fatto subito amicizia, è scattato il feeling. Abbiamo condiviso il bello e il brutto della nostra adolescenza; di chi è costretto a inseguire il sogno di diventare calciatore lontano da casa. Io all’istituto per geometri e lui alla Ragioneria. Entrambi lontani dagli affetti. Ricordo che ogni tanto venivano i suoi genitori la domenica e portavano da mangiare. Negli anni quante rimpatriate, quante ne abbiamo combinate…
Una breve separazione e di nuovo insieme.
Sì, a Vicenza nel 1978. Nella squadra dei miracoli di Gb Fabbri. Lui era già lì.
L’amicizia ha resistito negli anni.
Sì, perché era radicata e strutturata. Ci vedevamo spesso e ci sentivamo spesso, nonostante il passare degli anni e i mutamenti degli equilibri familiari. Ogni volta a prenderci in giro e a ridere. Quanti sfottò!
Che cosa le manca?
Il suo sorriso. Ogni volta rideva. E io gli dicevo sempre “Ma che cosa ti ridi?”
Vi divertivate facendo che cosa?
L’imitazione degli allenatori che abbiamo avuto. Oppure parlando in dialetto piemontese o veneto.
Qualche aneddoto?
Qualche? Tanti. Una volta con il Vicenza facemmo un’amichevole a Messina. Dovemmo uscire dallo stadio dentro un’ambulanza, visto che eravamo assediati da fan in delirio. Era popolare. Ed era portato al contatto con la gente. Il calcio non poteva avere miglior ambasciatore. Una volta con il Club Italia, dopo aver appeso le scarpe al chiodo, andammo alle Maldive. Era famoso anche lì. All’aeroporto c’era una folla oceanica ad attenderci. Era più conosciuto del Papa.
L’ultimo contatto?
Era il giugno del 2019. Prese parte a una manifestazione a Pescara e a una serata a Ortona. Mi chiamò al telefono, io me la presi perché non mi aveva avvertito. Mi disse: “Ciano (diminutivo di Luciano) stai tranquillo e prepara gli arrosticini perché, appena posso, torno”. Invece niente….
Sapeva della malattia?
No, però avevo capito che qualcosa non andava; vuoi perché era stringato nei messaggi e non il solito giocherellone, vuoi perché si lamentava del solito mal di schiena. E da lì ha scoperto di avere un brutto male. L’ultima volta lo vidi a Vicenza.
Come lo ricorda?
A settembre, nel giorno del suo compleanno (il 23, ndr), sono stato nel suo agriturismo, in provincia di Siena, dove vivono la moglie e le due figlie del secondo matrimonio. Lì sono custodite le sue ceneri e lì ci siamo ritrovati noi amici dell’ex Primavera della Juve, gente che ha fatto carriera nel calcio e gente che non ha mai giocato a certi livelli. Siamo stati insieme nel suo ricordo. Per noi era bomber.
Per tutti gli altri Pablito, icona del calcio italiano .

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