22 novembre 1981: Giancarlo Antognoni e la tragedia sfiorata
Stagione 1981/82, è la Fiorentina di Giancarlo Antognoni che sfiorerà il terzo scudetto.
Un suo ex compagno di squadra, Picchio De Sisti, siede in panchina. E’ la Fiorentina del presidente Flavio Calisto Pontello che dalla Juventus, in quell’estate del 1981, acquista pure Antonello Cuccureddu.
Tito Corsi, d.s. viola, soffia Pietro Vierchowod a Boniperti mentre prima, dal Torino, arrivano Eraldo Pecci, l’elegante spalla di Antognoni, e in attacco uno dei gemelli del gol granata: Ciccio Graziani, a far coppia con l’argentino Daniel Bertoni.
Dal Monza, sempre in coppia, arrivano prima la punta Monelli, poi l’incursore Massaro. In porta Giovanni Galli. Il libero è Galbiati. A mordere gli attaccanti avversari ci pensano Vierchowod, lo stopper, Ferroni a destra e Contratto a sinistra. Gran calcio, solo due sconfitte. Una a Roma, con un gol da cineteca: tacco al volo di Falcao, colpo di testa di Pruzzo, O Rei di Crocefieschi.
Secondo scivolone a Cesena: finisce 2-1, ad accorciare le distanze ci pensa Antognoni.
Poi arriva la domenica del 22 novembre 1981.
Quel giorno a Firenze c’è un’aria strana in campo: dopo la sconfitta con i romagnoli di 15 giorni prima, nella sosta successiva la nazionale di Enzo Bearzot pareggia 1-1 con la Grecia a Torino, guadagnandosi la qualificazione a Spagna ’82. In quell’occasione Antognoni è criticato aspramente dalla stampa. Però quel tipo di critiche preconcette Giancarlo le conosce bene e non è più disposto ad accettarle. Risultato? Antognoni disputa i primi 55 minuti di quel Fiorentina-Genoa in un modo mai visto, mosso da una rabbia devastante e sete di vendetta che sfociano in giocate fantastiche, assist mirabolanti (bellissimo quello per l’1-0 di Daniel Bertoni al 24′), prodezze tecniche di inarrivabile maestria. Un Antognoni praticamente perfetto. Al 52′ (siamo sull’1-1), Graziani viene atterrato in area e lo stesso “Antonio” realizza il rigore del vantaggio.
Poi arriva l’episodio, uno dei più drammatici capitati sui terreni di gioco. Antognoni scatta su un lancio lungo in area di Bertoni, è in ritardo e sbilanciato, colpisce di testa il pallone mentre Martina sta volando a valanga, con i pugni chiusi e le ginocchia piegate sul petto. Uno scontro durissimo: Antognoni rimane a terra, si capisce subito che è successo qualcosa di grave, la gente tace sugli spalti. Il genoano Gentile, il primo a soccorrere l’avversario, si allontana con le mani al capo, Onofri scoppia in lacrime, va verso la panchina del Genoa facendo ampi segni verso Antognoni a terra. «E’ morto — grida — è morto». Il medico del Genoa, dott. Pier Luigi Gatto, attraversa il campo di corsa per i primi soccorsi. Non respira e ha la bava alla bocca. Gli occhi roteano. Capisce che la cosa è molto grave, gravissima. Il polso non batte e inizia il massaggio cardiaco, la situazione è drammatica.
Il massaggiatore della Fiorentina, Ennio Raveggi, arriva di corsa con il sanitario viola, prof. Bruno Anselmi. C’è confusione, tensione indescrivibile. Scoppia un alterco tra il dottor Gatto che sta praticando con energia il massaggio al cuore ed il preoccupatissimo massaggiatore. Antognoni è immobile al suolo, circondato dai fotografi. Anselmi dà il cambio a Gatto, che controlla il polso di Antognoni. Poi Raveggi passa alla respirazione a bocca a bocca. Sono trenta secondi terribili. Raveggi si accorge che Antognoni ha la lingua rovesciata in gola, con un dito gliela estrae e riprende a praticargli la respirazione. Il cuore di Antognoni riprende a battere. Entrano le barelle, il giocatore è trasportato ai bordi del campo. Ancora un massaggio cardiaco, mentre Antognoni si solleva un poco ed un fotografo segnala con un balzo di gioia lo scampato pericolo.
«Mezzo minuto lungo come un’eternità – ricorderà ancora il dott. Gatto -, siamo stati sull’orlo della tragedia. Non capisco come lo scontro, il colpo di testa, possano avere avuto riflessi cerebrali e cardiaci cosi gravi. Ma l’importante è che siamo riusciti a riprendergli il polso. Sono stati momenti drammatici, ripeto, drammatici».
Antognoni, negli spogliatoi, è sottoposto alle prime cure. Dopo un’iniezione cardiotonica, il giocatore inizia a ristabilirsi. E’ ancora in stato confusionale, naturale, ma prima di lasciare lo stadio con l’ambulanza, riconosce e saluta la moglie.
Al 78′, ventitré minuti dopo lo scontro con Martina, l’altoparlante dello stadio dà la notizia che tutti aspettano: Antognoni si è ripreso. Segue un applauso lunghissimo, liberatorio, la grande paura è passata.
All’ospedale nel frattempo altre cure e, subito dopo, gli accertamenti clinici che chiariscono la situazione. Antognoni frattanto si è risvegliato e può anche ricevere brevi visite. Naturalmente gli è accanto la moglie. Arrivano l’arbitro Casarin, che gli regala il pallone dell’incontro, e Onofri, capitano dei rossoblu. E’ Antognoni stesso a rassicurarli: «sto abbastanza bene, ma non mi ricordo assolutamente nulla di quanto è successo in campo».
Una prima diagnosi riferisce di trauma cranico alla zona temporale sinistra e di probabile trauma toraco-addominale, ma gli esami più approfonditi forniscono un quadro più chiaro e, purtroppo, abbastanza serio della situazione. Antognoni riporta, in base alla TAC, la frattura temporale sinistra avallata (che risulta delle dimensioni di una moneta) e una frattura frontale lineare (ha lo spessore di una riga) ed i medici si riservano la prognosi.
Il prof. Mennonna, che ha in cura il capitano viola, dichiara: «Ci vorrà un mese perché le fratture vengano riassorbite. Si ritiene perciò che occorreranno complessivamente tre mesi prima che Antognoni possa tornare a giocare, sempre escludendo complicazioni che ci si augura non debbano sorgere. Non ci sono particolari preoccupazioni – aggiunge il prof. Mennon – lo terremo in osservazione e poi, dopo ulteriori controlli, vedremo. Sicuramente sarà possibile inquadrare la diagnosi. Ora ha bisogno di riposo».
Il suo decorso è giudicato eccezionale dai medici, già pochi giorni dopo rilascia interviste ai giornalisti che, naturalmente, gli chiedono le responsabilità di Martina: «Il portiere non ha colpa, e stato un incidente di gioco. La sfortuna e stata che col ginocchio mi ha preso nella tempia, altrimenti non sarebbe successo niente e sarebbe stato uno scontro come tanti altri. Escludo che Martina volesse farmi male, ne sono convinto. Se mi fossi accorto del contrario, avrei cercato di ripararmi la testa con le mani. Invece, quando ho visto che stava uscendo, ho cercato di mandare il pallone sulla destra per poi aggirarlo dalla parte opposta»
La Fiorentina deve fare a meno della sua LUCE.
De Sisti rimescola le carte. Fa di necessità virtù. Mette dentro un mediano, il gregario Miani. Il gioco cambia, ora a dirigere le danze ci pensa Eraldo Pecci. La Fiorentina non perde più. Magari vince 1-0, ma non perde. Se va male pareggia.
21 marzo 1982, primo giorno di primavera. E’ il giorno di Fiorentina-Cesena, e dal tunnel sotto la “Fiesole” spunta l’inconfondibile capigliatura del “capitano”, ad accoglierlo uno striscione meraviglioso della curva “Fiesole”:
“Forza Antonio, l’inferno è finito, il Paradiso ci attende”.
Giancarlo si volta, saluta emozionato, si tira su la fascia di capitano e guadagna il centrocampo.
Antognoni ridiventa subito protagonista: è suo il decisivo passaggio-gol a Casagrande proprio nel giorno del rientro ed è suo il gol con cui la squadra viola sbanca Napoli a quattro giornate dalla fine. Inutile ricordare l’epilogo di quel lontano sogno; in testa alla pari con la Juve all’ultima giornata la Fiorentina pareggia a Cagliari, mentre i bianconeri vincono a Catanzaro laureandosi campioni d’Italia senza la coda di uno spareggio indesiderato per l’imminente inizio dei Mondiali di Spagna.
Senza l’infortunio di Antognoni quello scudetto sarebbe stata realtà, ma come ebbe a dire lo stesso “capitano”… “Due-tre volte sarei potuto andarmene da Firenze, e forse avrei vinto coppe e scudetti. Ma alla fine ho scelto di rimanere, e sono felice. E poi l’amore di Firenze è valso più di uno scudetto“. Lo stesso amore che 30 anni fa, quel 22 novembre 1981, aspettò in silenzio il risveglio del suo figlio prediletto.