Agostino Di Bartolomei, la storia di calcio di un capitano e leader vero
"Un capitano vero, un leader silenzioso, schivo […], simbolo di un calcio romantico fatto di cuore, polmoni e grinta […]. E di talento, perché "Ago" ne aveva da vendere". Così descriveva nel 2014 la FIGC un mito come Agostino Di Bartolomei, mitico capitano della Roma del secondo Scudetto, scomparso esattamente 30 anni fa.
Schivo, riservato, silenzioso ma comunque un leader vero. Di Bartolomei, romano classe 1955, legò il periodo più sfavillante della sua carriera professionale alla Roma. Più di 300 le gare accumulate, di cui quasi 150 con la fascia da capitano al braccio: uno scudetto nel 1982/83, tre Coppe Italia e una Coppa dei Campioni soltanto sfiorata con i giallorossi in quella notte del 30 maggio del 1984 all'Olimpico. Una data che purtroppo lo lega anche a quella fine tragica avvenuta esattamente 10 anni dopo.
Una storia di calcio raccontata a TMW Radio da chi ha vissuto Di Bartolomei in quegli anni, a partire da Stefano Impallomeni: "Era il simbolo, un leader, un trascinatore di quella Roma scudettata. E' stato il capitano dei capitani, senza nulla togliere a Totti e De Rossi. Era romano, romanista, capo del governo della squadra, era spigoloso ma al tempo stesso divertente. Sembrava un generale romano, dimostrava di essere un uomo già fatto, di esperienza, già quando aveva 27-28 anni. Gli ho voluto molto bene, vedeva in me un talento e mi stimava e mi trattava come se fossi un calciatore già fatto e questo mi piaceva. La scomparsa è ancora un mistero. Ognuno ha la sua versione ma non sarà mai quella vera. La mia idea è che come se Agostino avesse eliminato Di Bartolomei. Era un uomo importante ma forse si è accorto che era affaticato, per vari motivi. Non era un mediocre, era molto esigente con se stesso e non so se lui si sentiva pronto per fare il secondo tempo della sua vita con quel ritmo".
"E' stato un grande calciatore, era lento ma compensava con la tecnica, la potenza e l'intelligenza tattica - ha ricordato Franco Peccenini -. E' stato uno dei grandi del calcio italiano. Ho avuto una grande amicizia con lui, abbiamo vinto due titoli con le giovanili, una Coppa Italia con la prima squadra. Quella fine? La verità se l'è portata via con lui ma forse si è sentito tradito da quelle società per cui ha dato tanto. Un uomo come lui nel calcio manca tanto, per la sua professionalità e correttezza".
Mentre Roberto Scarnecchia, compagno di Ago alla Roma e al Milan, ha aggiunto: "Una persona straordinaria, un uomo tutto di un pezzo, mai sopra le righe. Ancora oggi mi chiedo il perché di quel gesto, ma lo ricordo per quello che mi ha insegnato in campo e fuori. Sembrava burbero, ma era solo tanto serio". "Ho avuto la fortuna di giocare con lui quando ero ragazzino nei primi anni di Serie A, per me è stato un punto di riferimento - ha aggiunto Filippo Galli -. Una persona chiusa, molto sensibile e che sapeva arrivare a noi giovani. Questa sua sensibilità e fragilità forse lo ha portato a compiere quel gesto tragico".
Un altro ex Roma come Fabio Petruzzi su Di Bartolomei ha raccontato: "E' stato il mio idolo, è stato la Roma, è stato il capitano della mia Roma che ho visto la prima volta allo stadio. Un uomo straordinario, che ho visto tanto a Trigoria e mi ha sempre dato la sensazione di un uomo vero, che con poche parole si faceva rispettare da tutti. Si faceva amare anche nei silenzi. C'erano tanti campioni allora, ma per Agostino è stato sempre amore vero. Era un giocatore elegante, giocava nel ruolo di libero a testa alta come pochi. Aveva un calcio incredibile". E poi anche un ricordo di un suo "rivale" ma amico come Bruno Giordano: "Quante volte ci siamo abbracciati...mi manchi tanto. 30 anni sono tanti ma mi sembra ieri che ci hai lasciato. Avrei voluto abbracciarti anche oggi, con qualche capello in bianco in più".
Anche Marino Bartoletti ha voluto ricordare Agostino, ecco il suo pensiero:
Agostino Di Bartolomei se ne andò all’alba del 30 maggio di trent’anni fa: senza spiegare perché.
Certo, fu impossibile non notare che quel gesto coincise esattamente col decennale della finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori dalla Roma contro il Liverpool all’Olimpico.
Ma fu una “spiegazione” che fu difficile farsi bastare: ammesso che ci fosse davvero una “spiegazione” accettabile.
Mai come oggi - anche per rispetto di Marisa, di Luca e di Gianmarco che sono veramente nel mio cuore - ho voglia di rifiutare ogni forma di indagine, di supposizione, di “ricostruzione”. Attingendo ai versi di un poeta mi piacerebbe solo “ricordarlo com’era”.
"…Voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi….”
Qualche anno fa Luca mi portò un manoscritto inedito di suo padre, un manuale del gioco del calcio, sulla cui terza pagina - a matita - Ago aveva vergato di suo pugno il mio nome: perché voleva che ne curassi io la prefazione. Che poi ovviamente scrissi quando quel prezioso libro uscì veramente. Cominciava e finiva così:
"Ago e io ci parlavamo in silenzio. Nelle sale d’attesa degli aeroporti; nelle piccole hall degli alberghi delle Dolomiti dove la Roma andava in ritiro; davanti a un caffè a Trigoria quando quel posto era ancora il volano di accettabili e cordiali rapporti umani. Mi diceva più cose con le mani e con gli sguardi che non con le parole, che pure distillava con straordinaria intelligenza. Ed era impossibile non amare la sua educazione, la sua timidezza, la sua serietà, la sua malinconia, la sua ironia, la sua cultura. Non credevo che mi avrebbe “parlato” ancora a distanza di tanti anni.... Ma se è vero che se n’è andato perché non si riconosceva più nell’aridità e nell’insensibilità del mondo che lo circondava e nel quale aveva creduto, ditemi come avrebbe potuto confrontare la propria dignità con tutto quello che ci opprime: nello sport, nella politica, nella quotidianità, nelle relazioni umane in generale... Lui che quando era triste cercava di non fartelo mai capire; lui che quando era felice aveva l’amabilità di non ostentare fino in fondo il suo benessere, per timore che si scontrasse con qualche tua possibile malinconia… Questa è l’ultima lezione che ci ha voluto dare: ancora una volta col pudore di non volercelo far pesare”