Marino Bartoletti su Di Bartolomei: "Quel maledetto 30 maggio..."
Agostino Di Bartolomei se ne andò all’alba del 30 maggio di trent’anni fa: senza spiegare perché.
Certo, fu impossibile non notare che quel gesto coincise esattamente col decennale della finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori dalla Roma contro il Liverpool all’Olimpico.
Ma fu una “spiegazione” che fu difficile farsi bastare: ammesso che ci fosse davvero una “spiegazione” accettabile.
Mai come oggi - anche per rispetto di Marisa, di Luca e di Gianmarco che sono veramente nel mio cuore - ho voglia di rifiutare ogni forma di indagine, di supposizione, di “ricostruzione”. Attingendo ai versi di un poeta mi piacerebbe solo “ricordarlo com’era”.
"…Voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi….”
Qualche anno fa Luca mi portò un manoscritto inedito di suo padre, un manuale del gioco del calcio, sulla cui terza pagina - a matita - Ago aveva vergato di suo pugno il mio nome: perché voleva che ne curassi io la prefazione. Che poi ovviamente scrissi quando quel prezioso libro uscì veramente. Cominciava e finiva così:
"Ago e io ci parlavamo in silenzio. Nelle sale d’attesa degli aeroporti; nelle piccole hall degli alberghi delle Dolomiti dove la Roma andava in ritiro; davanti a un caffè a Trigoria quando quel posto era ancora il volano di accettabili e cordiali rapporti umani. Mi diceva più cose con le mani e con gli sguardi che non con le parole, che pure distillava con straordinaria intelligenza. Ed era impossibile non amare la sua educazione, la sua timidezza, la sua serietà, la sua malinconia, la sua ironia, la sua cultura. Non credevo che mi avrebbe “parlato” ancora a distanza di tanti anni.... Ma se è vero che se n’è andato perché non si riconosceva più nell’aridità e nell’insensibilità del mondo che lo circondava e nel quale aveva creduto, ditemi come avrebbe potuto confrontare la propria dignità con tutto quello che ci opprime: nello sport, nella politica, nella quotidianità, nelle relazioni umane in generale... Lui che quando era triste cercava di non fartelo mai capire; lui che quando era felice aveva l’amabilità di non ostentare fino in fondo il suo benessere, per timore che si scontrasse con qualche tua possibile malinconia… Questa è l’ultima lezione che ci ha voluto dare: ancora una volta col pudore di non volercelo far pesare”