Marotta contro la politica. E ha tutte le ragioni, non riusciamo a costruire mai niente
Tra le pieghe delle parole di Giuseppe Marotta, c'è l'urlo del mondo del calcio che, rispetto a tutti gli altri che provengono da quella parte, ha davvero una liceità. "Noi paghiamo tutti i tipi di tasse che esistono - ha spiegato il Presidente dell'Inter - noi vogliamo che il legislatore favorisca il nostro sviluppo di sostenibilità. I presidenti mecenati o volgarmente definiti ricchi scemi non ci sono più. Ora esistono società che vogliono entrare nel mondo del calcio ma non andare in default. Non chiediamo contributi, solo una maggiore considerazione. Vogliamo una legge più snella per gli stadi, il decreto dignità ha tolto qualsiasi sponsorizzazione di betting e ci penalizza, il decreto crescita ci è stato tolto mentre il mondo del lavoro di altre categorie ne usufruisce".
Ed è tutto vero. La politica sta bloccando il calcio all'urlo di "tanto ci sono i miliardari del pallone, cosa vogliono di più?" con il rischio però che miliardari non lo siano più. Chiunque è andato in trasferta in uno stadio europeo vede la differenza con i nostri. San Siro sì, San Siro no, San Siro forse, San Siro boh. Ma poi c'è quello della Roma, che dieci anni fa aveva posato la prima pietra e probabilmente non c'è manco più quella, la Lazio che ora parla di Flaminio (mah), senza parlare delle parole di De Laurentiis di anni fa sul San Paolo.
Il calcio deve pagare per disegno divino. Perché i soldi sono immorali. Senza contare che c'è tutto l'indotto, dai magazzinieri ai giardinieri, dagli allenatori ai preparatori. Per chi viene pagato milioni per giocare ci sono migliaia e migliaia di persone che lo fanno per passione o per lavoro, remunerato più o meno come chiunque va in ufficio giorno dopo giorno. E sarebbe rispettoso anche nei loro confronti che il calcio venga visto come un'industria e non come una cerchia ristretta di ragazzi viziati che guadagnano milioni.