Gandini torna a parlare della Roma: "Immaginavo De Rossi sarebbe diventato allenatore"
Lunga intervista a Radio TV Serie A per Umberto Gandini, attuale presidente della Lega Basket Serie A, e storico dirigente del Milan e della Roma: "I 23 anni in rossonero? Sono anni che rappresentano una buonissima parte della mia vita, una vita straordinaria per tante cose. Dal punto di vista sportivo è stata una cavalcata ineguagliabile, pensare oggi che una squadra possa fare come quel Milan a livello internazionale è molto difficile, sono cambiati tantissimi riferimenti del mondo, in generale. È stata una crescita personale e professionale, una vera famiglia, perché ho passato praticamente una metà di vita col Milan. Momento più indimenticabile? È facile rispondere con la prima finale di Champions vinta, Milan-Barcellona ad Atene del 1994. La mia esperienza era iniziata con la sconfitta subita a Monaco di Baviera contro l'Olympique Marsiglia. Memorabile anche la vittoria nel 2007, sempre ad Atene, una città ricorrente nella mia storia. Due finali, due vittorie, una città santa per i milanisti".
Sulla Roma, Luciano Spalletti e Daniele De Rossi
"Due anni intensi, molto belli e formanti, perché avere un rapporto diretto con l'azionista - che rappresentava un gruppo di azionisti - è stata una scuola, un'esperienza che non conoscevo. La Roma è una società con un rapporto straordinario con la sua tifoseria, estremamente legata alla città. Due anni da amministratore delegato a Roma, con una proprietà americana, è stata una grande esperienza. Abbiamo fatto bene, ricordo le semifinali di Champions League, ho lavorato con Spalletti, Di Francesco, Monchi...
Differenza tra Roma e Milan? Il legame con la città, il rapporto fortissimo che c'è, quasi un'identificazione simile a quello che succede a Barcellona, dove il club è più che una squadra, quasi una nazionale. È stato più difficile lavorare a Roma rispetto che a Milano? Per la mia esperienza potrei dirti di sì, per tutto quello che gravita attorno a una città come Roma, capitale e città del governo in cui c'è tantissima influenza: da quel punto di vista è più difficile. Mi piace ricordare il rapporto con Luciano Spalletti: era l'ultimo anno di contratto, non ero il suo riferimento diretto e me lo disse in totale trasparenza. Io gli dissi: "Quando vuole io ci sono, di qualsiasi cosa abbia bisogno". Ogni tanto ci scrivevamo: io insistevo per fargli vestire la divisa ufficiale al posto della tuta, perché penso che un club come la Roma dovesse essere anche dal punto di vista stilistico all'altezza della situazione e lui, senza dirmi che lo avrebbe fatto, lo fece. Si lamentava con me di cose che erano fuori dal mio "controllo", come i campi di Trigoria che non andavano bene. Ci sono state tante cose, anche un rapporto con personaggi di alto livello: ho vissuto l'ultimo anno di Francesco Totti in una serata struggente, ho pianto anch'io per quello che rappresentava. Daniele De Rossi? Immaginavo sarebbe diventato allenatore, suo padre Alberto è stato uno degli allenatori più importanti del settore giovanile della Roma. Lui rappresenta la romanità, così come Francesco, ma tra i due Daniele aveva più attitudine per il campo rispetto a Totti. De Rossi divenne il "mio" capitano, il rapporto divenne più stretto".