Fonseca si arrabbia con chi gli chiede dello spogliatoio. Ma i rigori vengono decisi dai calciatori
"La mia leadership non è da farla vedere fuori, io non sono un attore. Se abbiamo qualche problema, non me ne frega un cazzo del nome del giocatore. Io ci parlo. Frontalmente, direttamente, con la squadra o con i giocatori". Le parole di Paulo Fonseca a chi ha sottolineato cosa pensa la critica nei suoi confronti - cioè di non avere in mano lo spogliatoio - sembrano evidentemente quelle di un allenatore infastidito da quanto è stato detto nel corso delle ultime settimane, dalla Fiorentina in poi. Anche perché dopo l'Inter si poteva pensare a un cambio di rotta, invece è arrivata una sconfitta contro il Bayer Leverkusen per 1-0, più quella con i viola per 2-1.
Come già successo con la Lazio, sono finiti sotto la lente di ingrandimento i comportamenti dei giocatori. Lì erano finiti nell'occhio del ciclone Leao e Theo, colpevoli di un cooling break in disparte dopo la decisione di non farli giocare dal primo minuto. Una scelta che non aveva avuto una spiegazione, probabilmente l'idea di dare un segnale forte allo spogliatoio. È stata evidentemente un'arma a doppio taglio.
A Firenze il problema è nato dai rigori. Doveva calciarli Pulisic, lo hanno fatto Theo Hernandez e Abraham, con il risultato di non cambiare le sorti della partita, anzi. Ora l'ennesima sfuriata con la sensazione che solo i punti - tanti, da fare nei prossimi otto giorni - possano allontanare delle nubi che continuano ad addensarsi, settimana dopo settimana.