Gabetta: "Quarantena? Così ho allenato i giovani. Quella volta che Romagna..."
Attuale allenatore dell'Under 17 del Parma, in passato a lungo sulla panchina dei pari età della Juventus (lanciando, tra gli altri, Romagna, Audero, Muratore, Clemenza e Kean), Claudio Gabetta ha masticato tantissimo calcio a livello giovanile nella sua carriera. La stagione dei “suoi” gialloblu è già finita, ma nemmeno in quarantena il tecnico ha smesso di allenare.
Mister, la prima domanda è d'obbligo: come ha vissuto la sua squadra la quarantena e questo periodo di emergenza?
“Abbiamo cercato di restare più connessi possibile, in modo che i ragazzi restassero in contatto e non perdessero l'affiatamento creato in questi mesi. Abbiamo fatto un programma importante di smart training che potessero effettuare a casa, con cinque allenamenti fisici da fare in settimana, concentrandoci soprattutto sulla parte di forza, e almeno due-tre incontri in streaming in cui parlare di tattica e di concetti di gioco. L'obiettivo e la volontà della società era mantenere l'affiatamento di gruppo e devo dire che il Parma si è dato un gran daffare. I ragazzi poi, hanno mostrato grande serietà e responsabilità: questo ha sicuramente contribuito a passare in maniera positiva questi mesi".
Ancora difficile ipotizzare una data per il rientro in campo, purtroppo.
“Sì, non ci sono certezze anzi, ci sono molte incognite. Dovremo valutare quando riprendere l'attività: ci vorrà un po' di tempo, ma nelle prossime settimane sono sicuro si sbroglierà la situazione".
Da tanti anni nelle giovanili, ma in passato hai guidato anche delle prime squadre, sia da vice che da capo allenatore. Ti manca il calcio dei grandi?
“Onestamente no. Ho avuto tantissime soddisfazioni nel professionismo, ma non paragonabili a quelle che ho avuto dai ragazzi che ho allenato: mi piace vedere i giovani crescere e seguirne lo sviluppo a 360 gradi. Trovo entusiasmante vederli lavorare individualmente e a livello di squadra. Inoltre, puoi fare e parlare di progetti, senza necessariamente essere legato ai risultati, cosa fondamentale in una prima squadra".
Secondo te qual è il passo più importante da fare per i giovani per arrivare a giocare ad alti livelli?
“Io credo che l'ultimo gradino sia a livello mentale e psicologico. Serve la voglia per continuare a migliorarsi e continuare a rafforzarsi a livello mentale. Se si fa quest'ultimo salto di qualità, fermo restando che comunque il percorso è difficile e che ci saranno sempre cose da imparare, non ci sono porte che non si possano aprire".
E come allenatore come puoi contribuire?
“Da un punto di vista umano. Noi allenatori dobbiamo avere delle conoscenze psicopedagogiche e dobbiamo arrivare a conoscere caratterialmente i nostri ragazzi il prima possibile. Sin dalla giovane età è importante l'allenatore sappia capire quali sono gli atteggiamenti caratteriali da avere con ogni singolo ragazzo, perché non si possono trattare tutti allo stesso modo. Faccio un esempio: qualche anno fa, Romagna venne da me stravolto a causa della morte del suo cane. Era preoccupato di penalizzare la squadra e di non giocare, ma gli concedetti due giorni di riposo per tornare dai suoi genitori. Tornò la domenica e lo schierai in campo, perché due allenamenti, se non per guai fisici, non cambiano niente; anzi, in quel momento era meglio anche per il gruppo che lui tornasse a casa e stesse con la sua famiglia in un momento di dolore. Certe volte è necessario sapere che questi ragazzi possono avere sensibilità e necessità diverse dai professionisti: non si può pensare di trattarli come tali dal primo momento".