Il solito 'imperdibile' Domenech che suggerisce al Paris Saint-Germain di sottovalutare l'Atalanta. È scritto nelle stelle, come il Mondiale del 2006?
Raymond Domenech, che s'affidava alle stelle per scegliere la formazione, che nel ritiro prima del Mondiale di Grosso e Materazzi, di Lippi e Cannavaro, faceva entrare solo una giornalista, che era pure la sua compagna, ha detto che "l'Atalanta è troppo debole in difesa" e che "il Paris Saint-Germain non deve preoccuparsi". Beninteso, nei singoli nessun giocatore della Dea sarebbe titolare del Paris, che è costellazione impressionante costruita a suon di petroldollari e poco sentimento. Però l'Atalanta, alle prove decisive, ha fallito solo tre volte, in questa stagione. La prima è quando le gambe tremavano più del previsto, quattro schiaffi dalla Dinamo Zagabria. La seconda alla prima prova alla Scala, cinque pinte dal Manchester City. L'orgoglio scattò in quella settimana. Sette a uno all'Udinese, la Dea s'è desta. Cadde, poi, col Cagliari e nella terza vera disfatta, evidenziata pure ieri da Gasperini con quel "peccato per il girone d'andata", 3-1 in casa con la Juventus.
Poi basta. Sì, le sconfitte con Fiorentina e Bologna, Coppa Italia e campionato. Ma sono stati inciampi che per una squadra sognante, ma pur sempre di livello non celeste, sono fisiologici. Poi la sosta, poi Bergamo, poi quel che Domenech non capisce. Perché da calciatore ha avuto gran successo mentre da commissario tecnico ha la bacheca vuota e da allenatore, pur avendo guidato fior di giovani in Francia dopo i cinque anni al Lione, non ha mai alzato un trofeo. Mai. Non è certo nuovo a sparate che lo hanno portato sull'altare del ridicolo. Accusò de facto di temere l'arbitro in vista di una gara contro l'Italia Under 21, Michel Platini prese le distanze e lui una corposa multa. Aveva problemi, chissà per quale congiunzione astrale, coi giocatori dello scorpione, David Trezeguet e Robert Pires su tutti.
Il punto è che l'Atalanta l'abbiamo sottovalutata tutti. Chi si sarebbe aspettato di vedere la Dea, maiuscola, divina? Neppure Gian Piero Gasperini, sicumera e petto in fuori a parte. Sì, i sogni, le speranze. Poi c'è la realtà e mica ci si poteva immaginare che potesse superare anche la scorsa stagione. In fondo è riuscita a farlo con giocatori presi dal Ludogorets, José Luis Palomino, dal Benevento, Berat Djimsiti, oppure dal Metalist come Alejandro Gomez, dal Genk come Timothy Castagne. Robin Gosens è arrivato all'Atalanta dall'Heracles, Hans Hateboer dal Groningen, e così via. Nessuno da una grandissima squadra, la Dea è riuscita a rigenerare giocatori come Josip Ilicic o a lanciarne altri come Pierluigi Gollini. Ce l'ha fatta perché ha avuto meno pressione delle grandi, è vero, ma anche perché Luca Percassi, Giovanni Sartori, Gabriele Zamagna e tutto il compartimento scouting coordinato da Davide Cangini sono bravi.
Prendete Ruslan Malinovskyi, che a Bergamo è arrivato dal Genk. Cangini, negli scorsi mesi, ha avuto modo di raccontare il metodo Atalanta, e questo può esser pure un monito per tanti in Italia e anche per il Paris Saint-Germain, visto che Leonardo si lamenta perché "il calcio tedesco soffia i migliori giovani a quello francese". "Malinovsky lo seguivamo da quattro-cinque anni. Per convincerti realmente di acquistare un giocatore, devi averlo visionato per tanto tempo -ha spiegato Cangini-. Lui ha fatto un percorso importante in Belgio, ha fatto ottime partite a livello europeo e con la Nazionale, così abbiamo ritenuto opportuno fare questo investimento che corrisponde al livello attuale dell’Atalanta".
Sicché Raymond Domenech, l'uomo delle stelle, simpatia zero e Mondiali pure, e grazie ancora, fornisce un assist ai sogni dell'Atalanta. Che il suo messaggio arrivi dritto alle orecchie dei campioni del Paris Saint-Germain, mentre la Francia ha tirato giù la serranda del campionato e Neymar e compagni si dilettano a suon di colpi di tacco e poco ritmo partita nelle amichevoli stagionali. Vincerà il PSG? Non ci sarebbe nulla di che stupirsi. Il brasiliano guadagna da solo in pratica più di tutta la rosa dei bergamaschi. Poi Kylian Mbappé, poi ogni altra singola stella di una squadra costruita sin dai primi milionari vagiti per vincere la Champions League. Però non c'è riuscita, finora, sempre caduta e schiacciata dalle sue ambizioni. Tronfia, pienamente nello stereotipo dell'altezzosità di Francia. Che Domenech faccia un altro regalo all'Italia. Magari è scritto nelle stelle.