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Il Paese che ha inventato il calcio vince il terzo Mondiale della sua storia. E lo celebra come testimonianza di una passione eterna e primigenia

Il Paese che ha inventato il calcio vince il terzo Mondiale della sua storia. E lo celebra come testimonianza di una passione eterna e primigeniaTUTTO mercato WEB
mercoledì 21 dicembre 2022, 00:00Editoriale
di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio

Locura.
Le foto che più girano su smartphone in queste ore mostrano una moltitudine. Sono foto dall’alto prese da Buenos Aires, una città in attesa. Quella gente aspetta una quarantina di uomini in arrivo da un paese che poco tempo fa non sapevano forse nemmeno collocare sulla mappa con precisione.
Aspettano un gruppo di uomini e la Coppa del Mondo, e sanno che sarà tra le mani di Leo Messi, una foto che un po’ tutti temevano di non vedere mai più.
Poi sono intervenuti gli dei del futbol, che si rifiutavano di far chiudere la carriera a quel ragazzino che ancora parla con l’accento rosarino, senza la compagnia di quella bellissima opera del Maestro milanese Silvio Gazzaniga, che dal 1974 sostituisce la Coppa Rimet.

Ci hanno pensato anche Diego Armando, don Diego e la Tota, insomma tutta la famiglia Maradona, come dice la canzone che sta bombardando la testa di ogni appassionato. Una hit creata dalla tifoseria del Racing tempo fa e riadattata per l’occasione al Mondiale del Qatar, riadattata da un gruppo musicale che avevano creato la prima canzone che rappresentava la base per i tifosi della squadra di Avellaneda: Muchachoooo!
Messi ha finalmente alzato il trofeo che maggiormente desiderava da quando ha tirato i primi calci al Grandoli e la nonna Celia, la maggior talent scout della storia, insisteva col tecnico: “Mételo, mételo a este…”. Al fianco ha i compagni di una vita, a cominciare dal concittadino Angel Di Maria, compagno di tante battaglie e sicuramente l’uomo che nello spogliatoio ha pianto di più dopo la vittoria della coppa. La terza nella storia dell’Argentina, attesa dai tempi di Messico 1986, con i continui e inevitabili richiami a Diego. Ma quei 5 milioni che hanno ricoperto il caldo asfalto bonaerense non erano lì solo per celebrare la fine di quell’attesa. Erano testimoni di una passione, che hanno inventato loro.

Le regole del gioco, il calcio lo inventano gli inglesi, e fin qui siamo tutti d’accordo. Ma quello era un altro sport, anzi era un'altra cosa. Sbarcato nel Rio de La Plata, il fiume che divide e unisce Buenos Aires da Montevideo, il football diventa futbol. Non cambia solo la grafia, cambia l'approccio. C'è un entusiasmo tutto nuovo attorno a questo gioco. In Argentina dicono che gli inglesi hanno inventato il calcio, loro hanno inventato l'amore per il calcio. E in effetti la passione che circonda la pratica di questo gioco è unica. Non è più e solo un passatempo.

In riva al Rio de La Plata si appassionano a un gioco diverso perché in effetti gli cambiano i connotati e la maniera di raccontarlo, di viverlo. Ecco viverlo. Nel football diventato futbol entra in gioco il territorio, le radici del calcio sono i quartieri, perché la pratica è soprattutto svolta nelle città e non nelle sterminate pampas della Patagonia. C’è una canzone del San Lorenzo, la tifoseria che produce almeno l’ottanta per cento dei canti poi copiati in tutto il mondo, che dice, per celebrare l’amore del tifose per la sua squadra: Tus calles mi venas son, el barrio mi corazon, le tue strade sono le mie vene, il quartiere il mio cuore. Tutto nasce dai cortili, dalla strada, dalla vita, appunto. E con il calcio nasce anche il racconto orale del calcio. Ma li sentite gli argentini e in generale i rioplatensi quando parlano di calcio, lo sentito l’amplissimo vocabolario, le forme idiomatiche che hanno per raccontare il gioco, la situazione, la passione? Non esiste al mondo un racconto del calcio così perché, semplicemente in Argentina hanno iniziato per primi a raccontarlo, sui giornali, (il Grafico, per anni il miglior periodico del mondo, nasce negli Anni Venti, e più o meno in quegli anni nascono le prime radiocronache della partite di calcio. Un secolo fa. Tutto ha una continua evoluzione, il calcio continua ad accompagnare la vita, e rimane vivo grazie anche a grandi narratori: ho avuto il privilegio di incontrare il più grande proprio in Qatar e di passare con lui una serata di poco precedente a quella che sarebbe stata la sua ultima radiocronaca a un Mondiale e parlare di cosa è l’arte del relato, che non è esattamente una radiocronaca, è più un racconto, è trasferire emozioni, è volare con l’immaginazione. Victor Hugo Morales ha relatato il gol più bello della storia, quello di Maradona agli inglesi, un gol che oggi quasi non si può ammirare senza quel sottofondo di parole straordinarie e poco dopo il rigore di Montiel ha urlato “Si Messi dice adios, nos vamos con el”, chiudendo così la sua avventura mondialista. Il racconto del calcio invece continua, perché è nell’anima di questo popolo unico, almeno quando si parla di calcio.

Pochi giorni fa, nel solito illuminante editoriale per El Pais, Jorge Valdano, prima grande giocatore oggi superlativo analista ha detto che il Mondiale, nato un po’ in maniera “artificiale”, aveva necessità di trovare “vita e autenticità”. Argentinare il calcio, proviamo a tradurre nella calcisticamente limitata lingua italiana, ferma ancora alle intuizioni geniali del Brera degli anni Sessanta/Settanta. Quella vita e autenticità l’hanno portata negli stadi la tifoseria Argentina, che hanno spinto la loro Seleccion fino alla vittoria. “Todos juntos” ha scritto in un post sulle reti sociali Rodrigo de Paul, uno dei più massacrati dalla stampa: parlava alla gente, a un popolo. Quello dei 5 milioni attorno all’Obelisco di Buenos Aires e nelle strade di ogni città della Republica.
Il calcio è la dinamica dell'impensabile, ha scritto una volta Dante Panzeri. Il calcio diventa spettacolo e riunisce tutti gli istinti. È un gioco terribile in cui un appassionato rappresenta quasi sempre, senza saperlo, la lotta per la vita e la sua quotidianità.

Le emozioni della finale del Mondiale sono certamente un racconto. Ma per essere profondo, vivo e autentico doveva essere per forza argentino.

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