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Alle radici della crisi del calcio italiano: perché così pochi talenti emigrano? La scelta di Casadei e Lucca solo da noi non viene capita. E il confronto con le nazionali francesi è impietoso

Alle radici della crisi del calcio italiano: perché così pochi talenti emigrano? La scelta di Casadei e Lucca solo da noi non viene capita. E il confronto con le nazionali francesi è impietoso
venerdì 10 febbraio 2023, 08:36Editoriale
di Marco Conterio
Inviato di Tuttomercatoweb, è in RAI con 90° Minuto, Calcio Totale e Notte Azzurra. Ha lavorato con Radio RAI, Il Messaggero e Radio Sportiva

Le radici della crisi del calcio italiano hanno un problema endemico che ci appartiene e non certo solo ai ragazzi che giocano a football, ma pure a molti di noi, che leggiamo, che scriviamo, a cui spesso manca il coraggio di fare il grande salto. Per questo non riusciamo a esportare talento e se lo facciamo, è questione episodica, non certo comune e naturale. Siamo così innamorati dell'Italia, del nostro borgo, dei nostri confini, che la fuga dei cerveli e dei migliori è vista come un'eccezione, come un discredito di quel che da noi non funziona. E invece la mancanza di talenti italiani fuori dall'Italia, eccezioni escluse, non significa automaticamente che il sistema interno funzioni alla meraviglia. Anzi.

L'impietoso confronto con la Francia di Deschamps, con l'Under 21 e con l'Under 19
Della straordinaria Francia di Didier Deschamps, pochissimi giocavano in patria al momento della convocazione per il Qatar: il terzo portiere, Mandanda, al Rennes. Poi Fofana al Monaco, Guendouzi e Veretout al Marsiglia, Kimpembé e Mbappé al Paris Saint-Germain. Per spiegare come deve funzionare un movimento, però, serve guardare anche ai più giovani. La rosa dell'Under 21 transalpina, allora: Badiashile è titolare al Chelsea dove è sbarcato Gusto, Kalulu al Milan, Simakan al Lipsia, Koné al Monchengladbach, Olise al Crystal Palace, Adli gioca al Bayer Leverkusen. Chi è 'ancora' in patria, e sono molti, è in grandi squadre e sempre con un ruolo da protagonista: Gouiri, Truffert e Kalimuendo al Rennes, Caqueret e Chekri al Lione, Wahi e Chotard al Montpellier e via discorrendo. Scendiamo di categoria? Under 19 francese: Tel gioca già, diciassettenne, al Bayern Monaco. Ugochukwu lo fa al Rennes, Fayad al Montpellier. Non c'è neanche bisogno di sottolienare e ribadire che i nostri Under 19 galleggiano tra Primavera e qualche sporadica apparizione negli allenamenti delle prime squadre ma che solo D'Andrea gioca, a Sassuolo. Non solo: della rosa dell'U19 italiana, solo Filippo Mané, nato e cresciuto in Italia e con origini senegalesi, gioca all'estero al Borussia Dortmund. E forse non è un caso, così come non lo è se sempre al BVB milita Vincenzo Onofrietti, italo-tedesco da sempre in Germania ma U18 azzurro.

L'esempio di Cesare Casadei: la seconda squadra del Chelsea e il prestito al Reading
In un paese dalle vedute e visioni limitate come l'Italia, il passaggio di Cesare Casadei al Chelsea dove ha giocato di fatto solo in Under 21 è apparso come l'ennesimo atto di bulimia da calciomercato di una grande d'Inghilterra. Nulla di più sbagliato: nel Regno Unito le seconde squadre funzionano, una recente intervista del tecnico della Primavera della Fiorentina, Alberto Aquilani, a Cronache di Spogliatoio, lo certifica. Lui che ha giocato al Liverpool, lui che ora guida e vince coi giovani viola, lo conferma. "C’è un abisso tra campionato primavera e Serie A. Ci saranno 5 categorie di differenza, e questo non è un bene. Ti prepara a un campionato minore, come la C e non alla A. La seconda squadra è il progetto che ti avvicina di più, invece. Mi ricordo che quando giocavo all’estero contro le seconde squadre ti dovevi impegnare altrimenti rischiavi di fare figuracce. In Italia il risultato è in prima linea, e la cosa non mi piace troppo. È una cultura, è una mentalità che è difficile da cambiare". Già. Le critiche per la scelta di Casadei di andare in prestito al Reading sono l'ennesima dimostrazione di quanto la visione italiana sia limitata. Intanto per una specifica: è andato in Championship, uno dei campionati fisicamente e a livello di ritmo più probanti del Mondo. E poi il Chelsea lo ha dato in prestito secco, segno che i Blues credono in lui, anche se del domani non v'è chiaramente certezza. Però è un attestato di stima da parte di un club che sta investendo milioni e milioni sui giovani. Dove avrebbe giocato, Casadei, in Italia? Nella Primavera dell'Inter, che non è certo una seconda squadra inglese, come ha specificato Aquilani. E poi? In prestito per iniziare a farsi le ossa da riserva con qualche minuto, visto che anche in Serie B non è certo comune che i ragazzi trovino spazio? Al Reading, prima gara e subito quasi 60' contro il Watford.

La fuga di talenti all'estero arricchirebbe il movimento
La scelta di Marco Verratti di spendere la sua carriera in Francia è vista come qualcosa d'alieno ma in un mondo globale, diventa la normalità. Gianluca Scamacca al West Ham, invece che a far panchina in Serie A, è un fallimento per il nostro pallone o l'opportunità di metter nel bagaglio culture e nuovi elementi di crescita per uno dei talenti del nostro football? Chiaro, avrebbe fatto piacere vedere lui o Wilfried Gnonto in Italia, ma se il Leeds ha creduto in lui e le squadre italiane no, ben vengano allora le celebrazioni dei tabloid dopo le mirabilie contro il Manchester United e non solo. Il punto è che sono pochi, pochissimi: in Liga spagnola gioca solo l'italo-brasiliano Luiz Felipe. In Premier, poi, anche Jorginho, Emerson Palmieri e Angelo Ogbonna, che non son certo di primo pelo. In Germania è nato e cresciuto Vincenzo Grifo così come Fabio Chiarodia, su Kelvin Yeboah ha creduto l'Augsburg dopo che al Genoa non ha sfondato. Così è da sperare che Mattia Viti prosegua il percorso di crescita in Francia, al Nizza, che facciano lo stesso i quattro italiani d'Olanda, compreso quel Lorenzo Lucca che all'Ajax, in prima squadra, non trova spazio ma che ha avuto quel coraggio che spesso ai nostri manca. Non è solo un problema di sistema, di economie, dei club che ai giovani danno poco spazio, di clientelismo e di calcio fatto da bilanci più che da scelte di campo. No. Spesso ai nostri ragazzi manca il coraggio di osare, quello che tanti hanno avuto, come Viti, come Lucca, come Casadei, come Gnonto, come altri prima di loro. Ma ancora troppo pochi, per considerare il nostro un movimento globale, capace di prendere il meglio anche da fuori, anziché arroccarsi sui propri fallimenti interni, dentro e fuori dal campo.

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