Inter, è una sera da tutto o niente. Ma Inzaghi ha già silenziato anche gli ultimi critici

Tutto o niente. Triplete o zero titoli. Siamo ripetitivi, ne abbiamo parlato già nelle scorse settimane. L’Inter corre sul crinale che percorrono solo le grandi squadre, quello di chi può vincere tutte le competizioni in cui gareggia, come pure nulla. È il luogo comune del calcio: successo o fallimento, non c’è via di mezzo. Nulla di più sbagliato. E intendiamoci: non siamo qui a sostenere che il risultato debba passare in secondo piano. Altolà: il risultato è il primo, unico e fondamentale requisito per valutare il lavoro. Di chiunque: di Simone Inzaghi, di Ivan Cardia e di Mario Rossi. Vale per tutti, c’è solo da capire cosa si intenda per risultato.
Prendere una panchina da cui il suo predecessore era scappato, e portare quella squadra a diventare la più forte d’Italia, che tipo di risultato è? Vivere estati di mercato a zero, o anche meno, e ritrovarsi con una rosa sempre cresciuta in termini di valori di mercato, che risultato è? Prendere un ex esterno offensivo tanto fumo e relativo arrosto e trasformarlo in un cannoniere, che risultato è? Sono domande retoriche - ma fino a un certo punto - con una sola risposta: Inzaghi i risultati li ha già raggiunti, a certi livelli esserci vale vincere. Poi vincere è più bello, ma se si pensa che una finale, spesso decisa da Dispalla, basti a giudicare una stagione, allora siamo nella più totale banalità.
Sul tecnico piacentino, del resto, non c’è più alcun dubbio. Resistono voci sparse, neanche troppo convinte. L’altro giorno Luca Toni, forse con ben poca convinzione, ha ipotizzato che non sarebbe giusto confermare Inzaghi se non vincesse nulla. Ogni tanto Antonio Cassano, più che altro perché altrimenti nessuno lo ascolterebbe, ne spara ancora qualcuna delle sue. Sono gli ultimi campioni della critica a tutti i costi, ormai su Inzaghi nessuno ha più dubbi e nemmeno l’Inter, che non ha ancora iniziato vere e proprie trattative per il rinnovo di contratto, ma lo farà a breve.
Attenti, però. Perché dalla partita col Bayern passa comunque tanto. Se, dopo aver vinto in uno stadio nel quale non vinceva nessuno da quattro anni, per un rimbalzo sghembo l’Inter di Inzaghi uscirà dalla Champions, ecco che ripartirà il processo. È l’invida di chi non vince, o vorrebbe che vincesse qualcun altro. Fa parte del giochino, ma ogni tanto stanca. Quanto al rinnovo, il vero tema è semmai la durata, non è un caso che le versioni da 2028 calino subito a 2027 con un anno di opzione. Inzaghi ha la forza di pretendere un progetto più lungo: l’Italia non la terra di Ferguson, per carità, ma se non ora quando?
