Fiorentina, Gosens: "Dopo aver chiuso con il calcio lavorerò come psicologo"
in una intervista a Cronache di Spogliatoio, l'attuale esterno della Fiorentina Robin Gosens ha parlato di cosa ci sia, per lui e per tanti colleghi, al di fuori del mondo del calcio, iniziando dagli studi che sta portando avanti: "Dopo la mia laurea in psicologia sono sicuro che andrò a lavorare come psicologo, voglio aiutare i giovani e le persone che soffrono la pressione, che soffrono di altre malattie, e secondo me la combinazione fra il mio percorso universitario e il fatto che sono un giocatore professionista che ha vissuto attivamente questa pressione e queste paure, può essere molti interessante perché se una persona mi parla della sua malattia o della sua pressione, io posso capirlo perché sono stato nella stessa situazione. Per me è un progetto molto interessante per il post-carriera aiutare le persone o i giovani".
"Una cosa che serve veramente uno psicologo sempre lì con la squadra, e che è lì solo per la squadra. Perché tanti giocatori hanno il problema che non vogliono aprirsi perché hanno paura che poi il contenuto venga riferito al presidente, al direttore o all’allenatore. E che quindi viene meno quello spazio sicuro. Tra le pressioni, i social, anche la stampa, serve una persona che non sia lì per andare dai giocatori, ma soltanto che sia presente, un porto sicuro per ogni giocatore che vuole parlare, sfogarsi, trovare un confronto, in ogni momento. I calciatori devono sapere che quella persona è lì, avendo la sicurezza che è lì per loro e non per la società".
Gosens ha parlato anche di mental-illness e calcio: "Ci sono tanti giocatori che soffrono. Lo scorso anno in Germania ho cercato di parlare con la stampa di questo, perché noi in questo momento abbiamo un problema, nel calcio come nella società i problemi mentali sono visti come un tabù, dove nessuno ha volontà di parlare. Ho la sensazione che siano visti come una debolezza, quindi le persone stanno in silenzio, invece è la cosa più brutta che puoi fare a te stesso, perché la gente fuori non capisce cosa sta succedendo e giudica, se facciamo l’esempio di un calciatore professionista che entra in campo e fa schifo, ma magari sta male, nessuno lo può aiutare. Dovrebbe esserci un modo per aprirsi e di conseguenza abbiamo la responsabilità di dire ‘Sono con te, sono sempre con te, voglio che tu in campo spacchi tutto, se adesso stai male a casa o a livello familiare è importante che ti apri. Se non ti apri, neanche stampa e tifosi possono capire, neanche il presidente. Nessuno sa il motivo del tuo andare male’. Sono convinto che il tifoso capirebbe, perché lui vuole che tu renda al massimo. Guadagniamo tanto ma non c'è una medicina per far star bene. Siamo calciatori ma anche esseri umani a cui spesso viene richiesta la perfezione. Tante volte viene dimenticato: non siamo solo giocatori di calcio, siamo esseri umani. Sembra banale, ma non lo è. Abbiamo problemi, non sempre ci alziamo con il piede giusto".