Fiore: "Reijnders fortissimo, come caratteristiche mi ci rivedo". E parla di Euro 2000

Stefano Fiore, ex giocatore tra le altre di Parma, Udinese, Lazio e Fiorentina, è stato il protagonista del nuovo episodio di Storie di Serie A su Radio TV Serie A: "Il mio idolo? Roberto Baggio è stato il giocatore che ho apprezzato di più. Poi ho avuto la fortuna di giocare con tanti altri, però quando ero bambino sicuramente era il mio esempio".
Il ruolo del trequartista. "Secondo me deve esistere il trequartista puro. Certo non si può pensare che non ci sia un'evoluzione anche naturale del gioco, però io rimango sempre dell'idea che non solo sono più belli da vedere, ma poi diventano i giocatori di talento, che hanno classe e tecnica sono anche quelli che ti fanno vincere le partite. Quindi anche se non in quella posizione lì, gli allenatori devono provare, si devono sforzare di far giocare i giocatori di talento e trovare il modo di farli stare insieme, perché alla fine sono quelli che determinano e ti fanno fare il salto di qualità".
Il giocatore che gli assomiglia. "Oggi in Serie A un giocatore che mi piace tanto, non tanto come percorso ma come presenza in campo, che secondo me mi somiglia tantissimo è Reijnders. E' un giocatore fortissimo, che sa fare tante cose. Gli auguro di non sperimentare altre posizioni di campo (ride, n.d.r). Come caratteristiche mi ci rivedo abbastanza, anche se io ho fatto un altro tipo di percorso e venivo sballottato spesso in ruoli che non erano propriamente i miei, che però per caratteristiche riuscivo a fare, anche se non in maniera egregia dappertutto".
Prandelli. "Mancini e Prandelli hanno personalità diverse, probabilmente Prandelli è più bravo sul campo, è più schematico, ma il primo Mancini era molto più empatico. Non che non lavorasse sul campo, però l'ho sempre ritenuto un allenatore un po' all'Ancelotti, una persona che non ha bisogno di tattica, ma che fa la differenza a livello caratteriale e umano. Prandelli anche per il percorso che aveva fatto era proprio un insegnante. In quell'anno lì che ho fatto praticamente 38 partite su 38 da esterno, sono cresciuto ulteriormente perché ho acquisito delle conoscenze che nonostante fossi già avanti con l'età non avevo avuto fino a quel momento. Quindi con sfaccettature diverse sono state due figure che hanno saputo trattarmi. Poi anche il periodo storico era particolare perché si giocava molto 4-4-2 quindi il trequartista non c'era e veniva spostato ovviamente in fascia, quindi c'era quel tipo di sacrificio lì.
L'esperienza alla Fiorentina. "Fu un anno splendido. La Fiorentina l'anno precedente si era salvata alla fine quindi c'era tanto scetticismo. Partimmo sicuramente con tanta voglia e tante aspettative e man mano ci siamo resi conto che stavamo facendo qualcosa di incredibile. Con Christian Brocchi non ci sentiamo tantissimo ma soprattutto in quell'anno lì siamo stati probabilmente le due chiocce diciamo, con tanti giovani che stavano per esplodere. Ricordo Montolivo, Pazzini, Gamberini. Eravamo quei leader pur senza un grande trascorso, nei comportamenti. Lui ha parlato bene di me, io non posso far altro che parlare bene di lui. Era uno che non sbagliava un atteggiamento né una partita. Laddove ci rendevamo conto che c'era qualche testolina calda, intervenivamo subito nella maniera giusta. Si era formato veramente un grande gruppo. Merito anche di Prandelli che scelse quel gruppo quasi a uno a uno. Alla fine facemmo una stagione straordinaria, che era il motivo per cui ero arrivato nella speranza di poter riconquistare la nazionale. Arrivammo quarti, ci qualificammo in Champions. Purtroppo nell'estate successe Calciopoli e poi tutta la storia che è venuta di conseguenza.
Il Valencia. "Forse non rifarei le stesse scelte, però in quel momento storico, con i presupposti che c'erano, non rimpiango di averla fatta. Perché c'era un allenatore che mi aveva voluto a tutti i costi, Ranieri, che aveva in mente un progetto ambizioso, anche se forse poi visti i risultati che ha ottenuto, di difficile realizzazione. Voleva rinnovare una squadra che era fortissima, che aveva vinto, che però secondo lui era arrivato alla fine di un ciclo. Voleva inserire, secondo me, troppi italiani nello stesso momento in una squadra molto unita con tanti spagnoli che stavano insieme da tanti anni. Non era facile. Quindi alla fine, sia per lui che per la stragrande maggioranza di quei giocatori di quell'anno, non fu una stagione da ricordare".
Il rapporto con Ranieri. "Mi è rimasto tanto rammarico, perché poi l'idea iniziale era quella di tornare a giocare nel mio ruolo, cosa che non è mai successa. E quando lui mi disse "guarda che io ti prendo per farti tornare a fare quello che vuoi fare", fu la chiave per convincermi. E poi avevo voglia anche di questa esperienza, la Spagna è un bellissimo paese con un calcio tecnico adatto alle mie caratteristiche. Con lui poi ho parlato ma sempre con grande rispetto. Anzi, quando lui è stato poi allontanato, io l'ho chiamato per manifestargli il dispiacere, perché quando un allenatore viene esonerato non è mai una bella cosa né per lui né per i giocatori. Avrei voluto un altro confronto, perché credo che siano rimaste in sospesa alcune cose, e se un giorno ci sarà la possibilità volentieri".
Il periodo alla Lazio. "Noi abbiamo vinto paradossalmente quando forse eravamo meno forti. Il primo anno è stato difficile un po' per tutti e con l'arrivo di Mancini invece abbiamo pagina. Sono arrivati dei giocatori forse meno forti, ma più congeniali al progetto e sono stati due anni dove abbiamo fatto grandi cose. Probabilmente non eravamo da scudetto, ma abbiamo fatto molto bene, giocavamo benissimo, eravamo un grande gruppo e alla fine abbiamo vinto la Coppa Italia, abbiamo fatto una semifinale di UEFA col Porto di Mourinho, quindi era iniziato un percorso importante. È stato un peccato interrompere".
Interista mancato. "Mi sono innamorato dell'Inter grazie allo Scudetto del 1988 di Trapattoni. Sono comunque felicissimo della mia carriera. Ho realizzato quello che volevo, in tanti non possono dire lo stesso. Sono stato vicino all'Inter nella stagione in cui ero a Valencia e a gennaio ci fu un contatto con Mancini all'Inter. Sembrava potesse concretizzarsi uno scambio con Van Der Meyde. Non si concretizzò.
Zero rimpianti. "Prima di andare a Valencia la Lazio stava fallendo. Non c'era modo di rimanere. Magari avrei fatto il capitano o sarebbe arrivata un'altra squadra. Il mio pensiero però rimane sul "ce l'ho fatta" e non sui rimpianti o le mancate opportunità".
Finale di Euro 2000. Ogni tanto mi capita di rivedere i momenti salienti di quella finale. Il calcio spesso viaggia su un equilibrio sottile anche psicologico. Noi eravamo già abbracciati per esultare convinti che la partita sarebbe finita. Il destino ha voluto diversamente. Abbiamo forse pagato anche la fantastica semifinale contro l'Olanda in termini di fortuna. Ci è tornato contro in finale contro la Francia. Al termine della partita Candela è venuto nel nostro spogliatoio dispiaciutissimo. Dimostrò grande umanità, è stato un bel gesto".
