A tutto Stankovic: "Zvezda, Inter, Lazio, Ibra... Ecco il Deki che non conoscete"
Dejan Stankovic ha la Stella Rossa tatuata sul petto. La Zvezda fa parte di lui, l'ha sempre fatto, fin da quando il piccolo "Deki" giocava nelle giovanili biancorosse e per le prime volte metteva timidamente piede in quel tempio chiamato Marakana. Dopo aver scritto la storia del club di Belgrado da calciatore, ormai quasi due anni fa Dejan Stankovic ha iniziato il suo percorso da allenatore proprio su quella panchina. Così ambita, così gloriosa, così pesante. "Si vede dalla barba bianca che mi è spuntata sul mento", esordisce in esclusiva a TuttoMercatoWeb.com dopo averci ricevuti col sorriso all'interno dell'hotel della sua Stella Rossa. Proprio come un anfitrione che accoglie nella sua dimora la visita più attesa, per una chiacchierata a 360° fra passato, presente e futuro con tante inedite rivelazioni.
Mister Stankovic, partiamo proprio da qui: dalla sua Stella Rossa.
"Per favore, datemi del tu... Sono tornato a casa, se ci penso mi emoziono ancora. Quel bambino che faceva il raccattapalle dei suoi idoli di sempre, Mihajlovic, Jugovic e Savicevic, oggi è l'allenatore della loro stessa squadra. Ho avuto la fortuna di vivere degli anni meravigliosi, quelli della Stella Rossa campione d'Europa. Proprio in quel momento ho imparato cosa significa difendere i colori della Zvezda, un qualcosa che ti resta tatuato sulla pelle per tutta la vita".
Ti saresti mai aspettato di iniziare il percorso da allenatore a casa tua?
"Sinceramente no, anche perché all'inizio ho sempre dribblato l'idea di allenare. Ho avuto l'opportunità di vestire questa maglia già da ragazzino, arrivando presto in prima squadra e diventando il più giovane capitano del club. E lo sono ancora. Ho vinto un campionato e tre coppe di Jugoslavia, ma quando sono andato via per firmare con la Lazio avevo appena 19 anni. La mia vittoria quotidiana, dunque, è essere tornato a casa, proprio qui dove tutto ha avuto inizio. Questa per me è una bella sfida, che va oltre il calcio, e la vivo con grande emozione ogni giorno. Ho un gruppo di ragazzi spettacolare, uno staff capace e leale. Fra i miei collaboratori ci sono pure tre ragazzi italiani: Gigi Brivio, Vincenzo Sasso e Federico Panoncini, tre persone che stimo e che non hanno paura di dirmi quando sto sbagliando. Sono un allenatore felice e un uomo col sorriso, ecco cosa sono oggi".
La lotta per il trono di Serbia è sempre la stessa. Dopo aver vinto due campionati e una coppa, anche quest'anno te la giochi con la tua acerrima rivale: il Partizan. Ci racconti il derby di Belgrado?
"È una piazza unica, con due grandi club che si giocano il campionato praticamente ogni anno e che si portano dietro una lunghissima storia. C'è tanta pressione qui, si vede dalla barba bianca che mi è spuntata sul mento (ride, ndr), ma io ci sono abituato. Chi vive a Belgrado sa cosa rappresenta la Stella Rossa, chi la allena sa che la gente, quando dai la formazione, guarda solo chi è fuori e non chi gioca. La verità è che oggi siamo dietro al Partizan in classifica, ma sarà una bella sfida fino alla fine, come ogni anno. Com'è che dicono i controllori di volo? Che il loro anno lavorativo si conta doppio. Beh, direi che vale anche per me (ride, ndr)".
Non solo in Serbia, stai portando in alto la Stella Rossa anche in Europa League. Brucia ancora l'eliminazione dello scorso anno ai sedicesimi di finale col Milan?
"No, ricordo con grande piacere quel doppio incontro. Abbiamo giocato due ottime gare, soprattutto quella di Milano (1-1, ndr), ma in entrambe siamo rimasti in dieci. Il Milan è più forte di noi, lo è e lo rimarrà, ma penso che se avessimo avuto più fortuna nel sorteggio magari saremmo andati più avanti nella competizione e avremmo affrontato i rossoneri in un turno successivo. In ogni caso, la penso esattamente come un anno fa: siamo usciti a testa alta dall'Europa e abbiamo fatto tesoro di questo confronto. Oggi del resto siamo primi in classifica nel Gruppo F e, anche se sulla carta non abbiamo rivali top, siamo partiti alla grande con due vittorie contro avversarie ben attrezzate come Braga e Ludogorets. Vediamo cosa succede ora in Danimarca col Midtjylland...".
Restiamo a Milano, ma la sponda è ovviamente quella nerazzurra: Nicolò Barella ha detto che sei sempre stato il suo idolo.
"Le sue parole mi hanno fatto molto piacere, lo dico davvero. Da allenatore oggi aggiungo che sarebbe un sogno per chiunque avere in rosa Barella, uno che ti copre qualsiasi parte del campo. È un centrocampista che lavora senza sosta sia a livello difensivo sia offensivo, ha una tecnica perfetta, è coraggioso tatticamente... E poi, come diceva Boskov, chi tira in porta non sbaglia mai. Bisogna provarci sempre, da tutte le posizioni".
Meglio Barella oggi o Stankovic ieri?
"Barella è meglio di me. Anche come come tiro siamo lì, io ero più fortunato da lontano (ride, ndr). Nicolò è uno che lascia tutto in campo, che riesce a dare il 100% persino quando è solo al 70 fisicamente. Non mi sorprende che i suoi compagni lo vedano e lo riconoscano come un leader. Da tifoso nerazzurro sono orgoglioso e mi auguro ovviamente che possa rimanere all'Inter a lungo. Significherebbe tenere un campione in rosa e quindi mantenere la squadra al top. L'Inter, d'altronde, deve stare sempre fra le prime due-tre in Italia e le prime cinque-sei in Europa: è questa la sua dimensione".
Il tuo amico Simone Inzaghi, per il momento, non sta facendo rimpiangere Conte...
"Sono veramente contento per lui. Aveva fatto bene alla guida della Primavera della Lazio, poi è arrivata a sorpresa l'occasione in prima squadra e Simone si è mostrato fin da subito quello che è, un top coach. Anche all'Inter è partito alla grande. Penso che il suo modo di giocare sia perfetto per proseguire il ciclo iniziato con mister Conte. Del suo lavoro si è già visto qualcosa, ma quella nerazzurra resta una squadra costruita per il 3-5-2 di Conte: Inzaghi è sicuramente l'uomo giusto per dare continuità. A livello di mercato, non parlo dal punto di vista economico, i nerazzurri hanno rafforzato alcuni ruoli e ne hanno indeboliti altri, ma potete starne certi: la mia Inter lotterà per lo Scudetto".
Con quali avversarie si contenderà il titolo?
"Col Milan, con la Juve e col Napoli, che è partito fortissimo. Mister Spalletti, si sa, fa giocare sempre un grande calcio alle sue squadre. Non dimentichiamoci neanche della Lazio del mio connazionale Milinkovic-Savic. Sergej mi piace da morire, alla Lazio così come in Nazionale mostra ormai una sicurezza e una qualità quasi imbarazzanti. Si fa vedere e si fa sentire in campo, oltre a realizzare gol pesanti come nell'ultimo derby. A Roma lo amano e deve solo stare tranquillo: gli alti e bassi ci stanno sempre nel calcio, capitavano anche a me. Occhio poi alla Roma: vedo già il carattere di Mourinho, ma per il suo tipo di calcio serve ancora qualcosa a livello di acquisti. I Friedkin devono completargli la rosa".
Quanto c'è di José Mourinho nello Stankovic allenatore e soprattutto nello Stankovic uomo?
"Molto. José sarà sempre un amico e una persona speciale per me, siamo ancora in contatto attraverso il gruppo WhatsApp del Triplete. Grazie a Mou ho scoperto io stesso un altro Stankovic, con qualcosa in più da dare a livello umano e poi anche calcistico. Quando arriva il momento duro, delle difficoltà, è l'uomo che fa la differenza, non il calciatore. Nel calcio e nella vita bisogna avere le palle, non mollare mai. Da Mourinho ho imparato proprio questo: quando pensavo di non avere più nulla da dare, trovavo dentro di me un ulteriore 20%. Nel modo di rimproverarti, José ti migliora e ti dà il coraggio che ti serve. Forse i giovani non riescono a capire dove vuole arrivare José, all'Inter noi avevamo un gruppo abbastanza maturo: ti incalzava non per offenderti, ma per farti reagire sul campo. È un tecnico capace di accendere il bottone dentro i suoi calciatori".
Qualche scintilla però ci sarà pur stata nello spogliatoio nerazzurro...
"Un paio di volte Mourinho mi ha attaccato al muro (ride, ndr). Ma è stato un rimprovero positivo, perché anziché piangermi addosso io ho reagito sul campo. E poi Mou sa bene come ringraziarti".
Uomini prima che calciatori o allenatori. Sono tutte da raccontare, in questo senso, anche le storie che ti legano a Sinisa Mihajlovic e Zlatan Ibrahimovic.
"Partiamo da Sinisa, che per me è molto più che un ex compagno di squadra. Mihajlovic è la mia famiglia. Lo apprezzo tantissimo e, non a caso, è il padrino dei miei figli, così come io lo sono di uno dei suoi. Con lui ho passato momenti bellissimi e anche duri, mi ha sempre dato aiuto, persino quando era in ospedale. Non mi dimenticherò ciò che ha fatto per me. Mi dice sempre che sono il suo fratellino più piccolo, perché non vuole che lo chiami papà, ma io lo faccio ugualmente perché Sinisa sarà sempre un punto di riferimento per me".
E Ibra?
"Ibra è completamente diverso da quello che fa vedere, direi che è proprio il contrario. Zlatan Ibrahimovic, il vero Zlatan Ibrahimovic, è umile e timido. Quando siamo tra amici, è introverso e riservato. Forse adesso ho svelato il suo segreto (ride, ndr), ma è un vero pezzo di pane. Ha un cuore enorme, credetemi. Recentemente ha compiuto 40 anni e ne approfitto quindi per rifargli i miei auguri. Mi fa piacere che sia ancora in campo a quest'età e che lotti sempre come un leone. È un valore aggiunto per il Milan, anche a livello umano e non solo calcistico, perché a 40 anni sa cosa può e non può fare in campo. La sua presenza cambia e sposta già da sola gli equilibri".
Dejan Stankovic di anni oggi ne ha invece 43 e, appesi gli scarpini al chiodo, è un allenatore piuttosto giovane. Insomma, c'è tutto il tempo per (ri)conquistarsi la Serie A...
"Il futuro di un allenatore è sempre incerto: oggi sei qua, domani là, dopodomani non si sa. Io ora penso al presente e a dare il meglio. Alla Stella Rossa direi sì altre 100, anzi 200 volte, ma sappiamo tutti che il destino di un allenatore dipende quasi esclusivamente dai risultati. Dico sempre che ne esistono due categorie diverse: quelli che vengono esonerati e quelli che lo saranno. Per adesso sono concentrato sulla Zvezda e sui miei ragazzi, non ci poniamo alcun limite e vogliamo arrivare lontano. Per quanto riguarda il futuro, vedremo... Io mi sto preparando per arrivare dove mi porterà il mio cammino. Non so se sarò abbastanza bravo per allenare al top, questo lo dirà solo il campo, ma sono convinto di avere intorno a me le persone giuste per imparare qualcosa di nuovo ogni giorno. È così che si cresce".