Il Fluminense campione della Copa Libertadores: è la vittoria di Fernando Diniz e, soprattutto, del calcio
“Nel calcio, il peggior cieco è quello che solo guarda la palla”. La frase recita così: “Em futebol, o pior cego é o que só vê a bola” nell’originale brasiliano, una lingua che nasce dal portoghese e diventa incredibilmente musicale quando attraverso l’Atlantico, ed è opera del drammaturgo e scrittore Nelson Rodrigues. Uno che attraverso le sue opere teatrali ha raccontato il Brasile meglio di un sociologo o di un antropologo, e che proprio perché profondo conoscitore del suo Paese, conosce il calcio e le sue dinamiche. Attorno a quella palla ruota un universo, e nella declinazione originale porta con sé un significato che entra nelle pieghe della società, non solo brasiliana visto il successo del calcio sul pianeta, ma che può avere anche una lettura ulteriore, direi quasi tecnica: il lavoro di una squadra viene svolto in funzione della palla ma prevede tanti movimenti anche lontano da essa.
Non so cosa può pensare dell’ultimo assunto Fernando Diniz, tecnico del Fluminense, uno che la palla la vuole sempre avere ma che con il suo calcio ha promosso letture di spazi e movimenti continui ai suoi giocatori, che sabato sera ha vinto la sua prima Copa Libertadores. Un titolo non solo meritato per la finale, sostanzialmente condotta dall’inizio alla fine dei 120’ (giusto un lampo di Advincula ha procurato al Boca il temporaneo 1-1, poi è stato solo Flu), ma per tutto il torneo dove la squadra dell’attuale CT del Brasile ha mostrato una proposta calcistica che oggi è la più seducente del Sudamerica. Chissà cosa pensa Diniz anche di Nelson Rodrigues, dato che un busto che immortala il drammaturgo, lo incrocia ogni volta che entra nella sede della società, nel quartiere di Laranjeiras, a Rio de Janeiro. L’intellettuale era infatti tifoso del Fluminense, anzi si dovrebbe dire torcedor, peraltro parola che nasce proprio nello stadio di Laranjeiras, merito di un cronista che volle etichettare così le signore presenti che mentre seguivano con interesse la gara “torcevano” i guanti ( i guanti a Rio con quel caldo? L’eleganza, prima di tutto). Nelson Rodrigues era pure fratello di Mario Filho, il maggior giornalista sportivo della storia brasiliana, e proprio per questo meritevole dell’intitolazione del più importante stadio del Paese, il Maracanà.
E nel Maracanà, il Fluminense ha alzato la sua prima Libertadores. Un titolo pieno di storie, da quella degli over 40 come il portiere Fabio e Felipe Melo a quella di Marcelo, che rinuncia alle offerte saudite (milionarie: cosa vuoi offrire a uno che ha vinto 5 Champions?) per tornare nel club che gli ha dato la vita, dove è cresciuto. Come André, lui pure arrivato a 12 anni a Laranjeiras, e che questa estate ha detto “no” al Liverpool per vivere il sogno di giocare col Tricolor quella finale che poi ha dominato (ma l’asta dei club di Premier è solo all’inizio per lui: un 2001 così pronto lo vogliono in tanti). Tutti in lacrime pochi istanti dopo il gol di John Kennedy, il più giovani dei ragazzi di Xerem, luogo dell’accademia del Flu, divenuta soprattutto negli ultimi anni fondamentali per le sorti del club. L’attaccante esterno ha fatto partire un missile imparabile per Romero al 99’, poi è andato non sotto ma dentro la curva, ad abbracciare tutto il popolo del Fluzao, dimenticandosi di aver già un giallo sul groppone. Doppia sanzione e quindi rosso, ma poi è finita comunque bene, diversamente dalle altre volte in cui è stato espulso da club o scuole. Il Fluminense lo aveva spedito alla Ferroviaria, club paulista di poco valore, forse anche perché esasperato da certi comportamenti. Poi è arrivato Fernando Diniz, a marzo lo ha rivoluto al Flu e prima di entrare in campo nella sua partita più importante, la finalissima, gli ha ricordato da dove veniva e poi ha concluso il breve discorso di incitamento, lì davanti alla panchina, così: “Adesso vai a fare il gol della vittoria!” Gol? Golazo. Che entra dritto nella storia.
Fernando Diniz non c’entra solo con John Kennedy, è il centro di gravità di ogni storia cui abbiamo accennato, dal lancio di tanti giovani alla scommessa su Felipe Melo centrale o Fabio portiere per un stile di gioco che usa molto la costruzione dal basso, ed è in generale molto palleggiato, tanto in nessuna gara di Copa è mai andato sotto nel possesso palla con gli avversari: conta poco? boh, intanto ha alzato la coppa lui. Il suo stile di gioco è attenzionato da tutti gli appassionati e studiato dai veri addetti ai lavori. Ma non è quella la vittoria massima. Perché Diniz ha stravinto anche dopo aver issato il trofeo, con l’ennesima conferenza stampa post partita che commuove e inorgoglisce chi crede che il calcio sia anche un trasmettitore di valori (consiglio: recuperate le sue conferenze, raccontano calcio e vita): “Siamo tutti molto felici. Una felicità frutto di un lavoro che, anche se non avessimo vinto, non sarebbe stato un fallimento. Il Boca non ha fallito, dobbiamo smetterla con questa cosa. Chi è arrivato ha fatto uno straordinario lavoro e merita di essere campione. I campioni non sono quelli che vincono i titoli. I campioni sono quelli che vivono con dignità, che rispettano il calcio e che lavorano con amore".
E’ la vittoria di Fernando Diniz, del suo Fluminense e, soprattutto, è la vittoria del calcio.