Shalabi: "Almeno 535 calciatori palestinesi uccisi da Israele. Ma la FIFA non fa nulla"
Susan Shalabi, vice presidentessa della Federcalcio palestinese e membro del Comitato Esecutivo dell’Asian Football Confederation ha parlato al quotidiano sportivo Marca facendo il punto della situazione in Palestina da un anno a questa parte: “Quello che sta accadendo non è nient’altro che un genocidio che viene trasmesso in diretta in mezzo a un silenzio assordante. Migliaia di bambini vengono uccisi, le agenzie di aiuti umanitari vengono attaccate, scuole e ospedali distrutti. La gente muore a causa dei continui attacchi aerei o di bombardamenti indiscriminati, ma anche per malattie e malnutrizione. La brutale realtà è che chiunque è un bersaglio, qualsiasi palestinese che non stia subendo le peggiori atrocità immaginabili vive ogni giorno sotto minaccia esistenziale pregando per la fine di questo genocidio e sentendosi frustrato per l’incapacità collettiva di fare qualcosa che possa fare la differenza. - prosegue Shalabi – Mentre Gaza viene rasa al suolo, l’occupazione costringe la popolazione palestinese della Cisgiordania a trasferirsi nelle città centrali che però possono essere chiuse in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo facendole diventare delle gabbie a cielo aperto. Gli insediamenti illegali dominano da ogni direzione, collocati strategicamente sulle cime delle colline e si espandono ogni giorno controllando le risorse naturali”.
Spazio poi alla situazione del calcio palestinese: “Abbiamo dovuto sospendere il campionato a causa della guerra e del pericolo continuo per le squadre e i tifosi che viaggiavano fra le varie città. Anche gli altri sport collettivi sono sospesi, la nostra Nazionale maschile ha dovuto ‘accamparsi’ all’estero per lunghi periodi durante le qualificazioni al Mondiale, i giocatori costretti a restare lontani per mesi dalle proprie famiglie, mentre altri hanno giocato sotto una pressione psicologica insopportabile come non conoscere il destino dei propri cari a Gaza. - prosegue ancora la dirigente palestinese – A livello di base abbiamo cercato di organizzare attività per i bambini, per aiutarli a sopportare il dolore e le perdite, tuttavia i nostri sforzi non sempre hanno avuto successo a causa delle difficili circostanze che viviamo. Ma dobbiamo trovare un modo per dare speranza ai giovani”.
Shalabi si sofferma poi anche sulle infrastrutture e gli stadi: “È stato tutto distrutto o gravemente danneggiato, lo storico stadio Al-Yarmuk è stato utilizzato dall’esercito israeliano come campo di concentramento dove i palestinesi sono stati detenuti, umiliati e torturati. Altri campi sono stati persino trasformati in cimiteri per mancanza di spazio. A livello di vite umane abbiamo perso almeno 353 calciatori di cui 91 minori, a cui si aggiungono 108 sportivi e 85 scout. Ma non conosciamo ancora il destino di molti altri”.
Infine l’attacco alla FIFA e alle istituzioni calcistiche: “Abbiamo denunciato le violazioni sia alla FIFA sia alla AFC, abbiamo presentato una proposta formale in cui chiedevamo di affrontare le continue violazioni commesse dalla Federcalcio israeliana, compresa l’inclusione di club provenienti da insediamenti legali, casi documentati di razzismo contro i non ebrei e la complicità nelle azioni del loro governo. La FIFA ha assegnato tutto a un consulente legale indipendentemente e io risultati non hanno potuto confutare le nostre affermazioni. La questione è stata così deferita alle Commissioni di Compliance e Disciplina e sappiamo cosa significa. Tuttavia con l’anno ormai concluso non è stata presa alcuna misura alla FIFA né stabilito un periodo di tempo per l’indagine. Se mi chiedere un parere personale direi che la FIFA non ha fatto nulla. L’ACF ha invece espresso pubblicamente il sostegno alle nostre richieste, ma Israele è membro della UEFA. - conclude Shalabi – Ci sono casi documentati di giocatori e club israeliani che incitano al genocidio e lo sostengono, ma non subiscono alcuna sanzione a differenza di quei calciatori che sono stati puniti per molto meno solo per aver sostenuto la nostra causa. Mi chiedo se viviamo in un pianeta diverso o se siamo vittime di un doppio standard”.