...con Lucchesi
Fabrizio Lucchesi non ci sta ad essere trattato come uno dei responsabili del fallimento del Palermo. Mesi di lavoro, anche per lui, andati in fumo per una fideiussione mai presentata da Tuttolomondo in Lega e le cui colpe sono ancora tutte da accertare. Dopo mesi l’ex direttore generale rompe il silenzio e prova a fare chiarezza in esclusiva a TuttoMercatoWeb sulla morte sportiva e aziendale dell’U.S. Città di Palermo.
Lucchesi, è passato qualche mese e oggi la città di Palermo ha una nuova squadra in Serie D, l’SSD Palermo. Ma cosa è successo al vecchio Palermo?
“La spiegazione ce la darà la Procura della Repubblica. Mi risulta che i Tuttolomondo abbiano fatto diverse denunce. Sono curioso come tutti di conoscere la verità su questa brutta storia che ha coinvolto tutti e che vede in questo momento tante persone che hanno subito una situazione dolorosa: una nuova squadra in Serie D, i Tuttolomondo che hanno perso soldi, io i e dipendenti che ci abbiamo rimesso il posto di lavoro. Mentre i calciatori si sono ricollocati. Ci hanno rimesso tutti. Me compreso”.
Generalmente quando vi è una trattativa per l’acquisto di una società si va incontro a diversi passaggi. Nel caso del Palermo ad Arkus Network dei Tuttolomondo non è stata fatta là due diligence. Strano, no?
“Questo è vero in parte. C’era poco tempo e comunque Tuttolomondo era cosciente e consapevole della posizione debitoria. Il tema su cui la nuova proprietà faceva leva è che essendo debiti provenienti da lontano si sarebbe potuto limare qualcosa. Il Palermo non è saltato per aria per i debiti che non ha certo fatto Tuttolomondo, ma perché non è stata completata l’iscrizione a causa della mancata presentazione della fideiussione le cui cause sono oggetto di indagine della magistratura”.
Però leí il pomeriggio dell’ultimo giorno utile all’iscrizione ci aveva messo la faccia assicurando davanti alle telecamere che fosse tutto a posto.
“Ero stato informato dalla proprietà che era stato inviato in Lega l’elenco dei pagamenti obbligatorio. Elenco che io ho visto partire e che è stato inviato dal Segretario Francavilla. Mancava solo la fideiussione. I giornalisti sotto la sede pressavano, Tuttolomondo ci aveva rassicurato: mi sentivo tranquillo, non pensavo a nulla. Però col passare del tempo il broker spostava l’invio della fideiussione.Io da uomo di calcio conosco i tempi e pressavo per capire cosa stesse succedendo. Ma i rapporti con il broker li aveva direttamente Tuttolomondo. E intanto sotto i tifosi sapevano che la fideiussione non sarebbe arrivata, mentre noi aspettavamo che arrivasse. Tutto potevamo pensare ma non che ci esponessimo ad un insuccesso del genere. Sono contento che ci sia l’indagine, capiremo di chi sono le colpe. Io non mi sono occupato della questione economico-finanziaria, sono un manager d’azienda. E comunque tornando indietro direi assolutamente si al Palermo ancora una volta, ho anche rifiutato una squadra di Serie A perché per me quello rosanero era un progetto importante. Ero convintissimo di poter fare bene”.
Si è sentito tradito da Tuttolomondo?
“Sono stato tradito come tutti gli altri dipendenti insieme a Tuttolomondo da chi ha tradito lui. Se dovessero emergere cose diverse allora chiederei delle spiegazioni. Certo, ancora non mi è passata. Su quel progetto del Palermo ho lavorato tanto. Il piano industriale sono convinto che avrebbe funzionato. Pensavamo di fare i playoff, poi ci hanno dato la penalizzazione. Una volta tornati in B era comunque un mezzo successo. E poi non abbiamo completato l‘iscrizione”.
Ultimamente è pensiero di tanti che dove passa lei c’è un fallimento dietro l’angolo.
“Io di mestiere non faccio ne l’imbonitore e ne il prestigiatore. I tanti anni di esperienza maturata (Fiorentina e Roma su tutte, ndr) mi consentono di metterli al servizio di imprenditori in stato di necessità. Non è colpa mia se vengo chiamato in appoggio ad alcune situazioni. Se un imprenditore mi chiama e mi chiede aiuto per uscire da determinate situazioni non dico di no. Certamente non è un lavoro da direttore sportivo classico, io cerco di risolvere i problemi laddove mi viene chiesto supporto essendo un uomo di calcio. Ma non è che se un medico va ad assistere una persona che muore la colpa è del medico se questa persona è già in fin di vita”.
Andiamo con ordine, analizziamo le sue ultime esperienze. Partiamo dal Pisa...
“Io a Pisa ero proprietario delle quote, non me le hanno pagate e non le ho riscosse neanche oggi tre anni dopo. Una parte deve pagarmele Fabio Petroni e un’altra una società a lui riconducibile. Sono fuori di oltre un milione di euro. E il Pisa si è salvato grazie anche a me. L’ho portato in Serie B, ho dato la possibilità a Gattuso di farsi conoscere come allenatore. Avrei dovuto fare i miei interessi e non firmare la cessione anche se pure Abodi che in quel momento rappresentava la Lega B spingesse per risolvere la situazione nell’interesse della Serie B. Ma il calcio a me, ragazzo di campagna, ha cambiato la vita: non volevo fare fallire il Pisa così ho firmato. E ancora attendo i soldi che mi spettano”.
E il Latina, direttore?
“Il Latina era già fallito. Ero andato per aiutare la curatela. Dovevo operare sul mercato e quindi bisognava che fossi tesserato. A gennaio avevo il compito di vendere calciatori affinché il Latina rientrasse da certi debiti. Feci quasi otto milioni tra risparmi e vendite. Infatti venne dato l’esercizio provvisorio e non il fallimento. Poi all’asta un imprenditore si aggiudicò la società e non completò l’iscrizione, ma il mio lavoro era già finito”.
Un’altra esperienza turbolenta è stata la Lucchese.
“Ho fatto un errore di pancia. Tornando indietro questa esperienza la rifarei al 50%. Il lavoro non mi mancava, avevo diverse offerte. Avevo voglia di rivalsa, tra Pisa e Lucchese c’è grande rivalità, ma volevo tornare a vivere in Toscana. Grazie alla possibilità di un imprenditore amico, Grassini, che aveva comprato la Lucchese. Poi però i debiti della Lucchese non erano quelli che la proprietà si aspettava inizialmente. E così l’imprenditore ne è uscito fuori. E ovviamente per un fatto di rispetto nei suoi confronti e anche perché non vedevo futuro sono andato via. Mi volevano in B, stavo parlando con una società di A. Avrei dovuto metterci una pietra sopra e ponderare meglio anziché pensare ad una ripicca verso la mia esperienza pisana”.
A Palermo è stato additato come il principale responsabile del fallimento...
“Non mi sono mai sottratto alle mie responsabilità, quando sbaglio lo dico. Io ero protagonista perché più conosciuto di Tuttolomondo. Ma tornerei a Palermo tutta la vita. Siamo rimasti tutti fregati. Quando uno entra e fa debiti allora contribuisce a fare del male, in altri casi è colpa di chi ha fatto i debiti prima”.
Aveva dichiarato che gli stipendi ai calciatori erano stati pagati. Poi cosa è successo?
“Il martedì mattina quando la fideiussione non era arrivata, Tuttolomondo ha dato disposizione alla banca di revocare i bonifici. Si è preso la responsabilità di quanto fatto. Possiamo essere d’accordo oppure no su questo”.
Perché questa mossa?
“La tesi era: ‘siamo stati truffati, non è che non voglio pagare. I soldi ci sono e ve li tengo a disposizione, accettatemi la fideiussione in ritardo per la truffa che ho subito e paghiamo tutto’. Le norme però erano cambiate. La tesi difensiva non è stata accettata e sappiamo tutti come è finita”.
Lei fino a qualche mese fa ha continuato a maturare lo stipendio...
“Come tutti i dipendenti dell’U.S. Città di Palermo fino al fallimento. Durante l’esercizio provvisorio i curatori hanno fatto dei pagamenti parziali: a me, alla De Angeli, al segretario Francavilla e non solo. Fino al giorno del fallimento abbiamo maturato tutti dei soldi da ricevere da Tuttolomondo. Io ho continuato a lavorare fino ad ottobre insieme a parte della struttura dell’U.S. Città di Palermo”.
E i 370.000 euro che Tuttolomondo ha versato ad una società a lui riconducibile per la consulenza relativa al concordato preventivo?
“Non è un’operazione che conosco. Si tratta di una cosa straordinaria fatta dall’amministratore. Io ho seguito la parte sportiva e di riorganizzazione aziendale”
Cosa direbbe oggi ai calciatori del Palermo?
“Che mi dispiace. Non hanno capito che sono rimasto fregato come loro. I dipendenti che hanno famiglia sono a casa, loro invece hanno trovato squadra. Qualcuno ci ha rimesso, tanti ci hanno guadagnato. Per i calciatori mi dispiace, ma cinicamente dico che sono quelli che ci hanno guadagnato. Purtroppo gli è stata raccontata una mezza verità, la stessa che è stata raccontata alla gente. Aspetto il giudizio della magistratura. Voglio sapere anche io come andrà a finire. Ma mi fa rabbia che i dipendenti vengano messi sullo stesso piano dei calciatori. Vorrei anche ricordare che quelli portavano la bandiera non sono riusciti a vincere un campionato in due anni. Mi piange il cuore a vedere tutta la gente a casa”.
Un po’ difficile da spiegare anche ai tifosi tutto quello che è successo...
“Gli direi ciò che provo dentro: un’amarezza incredibile. Io sono quello che ha messo in difficoltà la mia famiglia per non fare fallire il Pisa, questa è la mia moralità. I tifosi li capisco, ma non devono chiedere spiegazioni a me. Sono come loro, amareggiato. Vittima di una situazione amara che ci porteremo dietro per tutta la vita. Io al Palermo ci tornerei altre cento volte”.
Avrà sbagliato qualcosa durante l’esperienza di Palermo?
“Un errore l’ho fatto, non so se lo rifarei. Ossia quando ho dato la mia disponibilità e consigliato a Tuttolomondo di non cambiare lo staff tecnico e dirigenziale. Pensavo di poter avere un rapporto proficuo con Foschi e Daniela De Angeli, due professionisti che stimo tanto. Avrei avuto bisogno di un supporto amministrativo e sportivo. Ho detto a Tuttolomondo di andare avanti con loro. Foschi non aveva mai creduto che volessi tenerlo, Daniela De Angeli invece l’avvertivo fredda. Forse sarà il suo carattere. Mi sono anche scusato con Tuttolomondo per averlo convinto a tenere Foschi. Ma la mia stima professionale nei suoi confronti e verso Daniela De Angeli rimane”.
Foschi sembrava scettico dall’inizio su Tuttolomondo e su tutto ciò che stava succedendo.
“Si, ma bastava che me lo dicesse. Non aveva stima di Tuttolomondo, avevano anche litigato. Ero convinto di gestire Foschi, poi la situazione mi è scappata di mano. Avevo cercato di convincerlo ad evitare lo scontro. Non vorrei che qualcuno abbia soffiato sul fuoco mettendoci contro. Addirittura avevamo parlato di rinnovare il contratto, Tuttolomondo gli aveva offerto il prolungamento”.
Lei a Palermo ci tornerà a marzo, in occasione di un convegno organizzato da Conference403 insieme ad AvvocatiCalcio e altre associazioni. Che accoglienza si aspetta?
“Sono onorato e lieto di essere stato invitato in un contesto di alta qualità. A livello professionale ne uscirò arricchito. Sarà anche un’occasione per parlare di quello che è successo ancora a Palermo. Io di questa storia ero un attore come gli altri, ma pur sempre un dipendente. Non posso sentire mia la responsabilità di quello che è successo. Con la squadra iscritta il piano industriale avrebbe funzionato”.
A cento chilometri da Palermo c’è Petroni, a Trapani. Che effetto le fa?
“Mi fa rabbia. Continuo a chiedergli i soldi e non me li da. Il debito è personale, di Fabio Petroni. Mi dispiace che non riesca a riscuotere il mio credito. Non sono geloso delle sue iniziative imprenditoriali. Ma vorrei ricevere ciò che mi spetta. In quello che ho fatto a Pisa c’è la mia persona, io sono quello che ci ha rimesso più di un milione”.
A Trapani qualcuno è preoccupato per il futuro dei granata.
“Lui (Petroni, ndr) è una persona benestante. Le sue società sono floride e vanno bene. Per quanto mi riguarda ho avviato il decreto ingiuntivo, il Tribunale mi ha dato ragione. Con lui ho avuto un buon rapporto, non capisco perché sia finita così. Almeno vorrei capire il perché di questo epilogo. Avrei voluto che avesse avuto rispetto nei miei confronti come io l’ho avuto verso di lui. Per colpa sua ho anche litigato con Gattuso, avrebbe dovuto pagare e non l’ha fatto”.
Che è successo con Gattuso?
“Una situazione che parte da lontano. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è una litigata negli spogliatoi di Foggia dove Petroni lo esonera annunciando Zeman. Questa storia ha cambiato i rapporti tra tutti. Il mio rapporto con Gattuso era tra padre e figlio. Peccato, davvero”.
C’è sempre tempo per chiarirsi...
“Spero un giorno di poter recuperare, Rino è un ragazzo genuino. In quel momento potevamo fare qualcosa di più tutti. Io, Gattuso. E sicuramente Petroni”.