Giulio Giordani, il Cobra di Montevarchi: fra gol e impegno nel sociale
Tre gol nella seconda parte della passata stagione, sette quelli messi a segno finora nell'annata corrente, cui vanno aggiunti tre assist: se non è lui il trascinatore del Montevarchi poco ci manca. Perché il ritorno di Giulio Giordani nel professionismo ha avuto sicuramente un certo impatto.
E per la squadra toscana tutto è ancora da scrivere, l'ultimo posto in classifica non spaventa, le restanti gare saranno finali, ma il professionismo è ciò che tutti vogliono: "Sono arrivato in rossoblè poco più di un anno fa, e ho visto una società in crescita, una società che è migliorata e si è strutturata sempre di più per il professionismo: rimanere in questa categoria - racconta l'attaccante in esclusiva, ospite della redazione di TuttoMercatoWeb.com - è ciò che vogliamo e meritiamo, ce lo impone anche la storia del club più antico della Toscana. Li strumenti li abbiamo, ora ci attendono scontri diretti da non sbagliare, e io per primo voglio raggiungere quegli obiettivi che magari sembravano lontani, ma non sono impossibili. A livello personale sono soddisfatto, dopo otto anni sono tornato in Serie C e sto dimostrando di poterci stare, ma voglio fare di più, lo devo a chi qui mi ha fortemente voluto".
Per fare di più, intendi raggiungere la doppia cifra?
"È chiaro che quello è un obiettivo personale, ma quel che mi preme, come ho detto, è mettere in sicurezza la categoria".
La tenacia per farlo non ti manca: l'esperienza al Savoia poteva averti tagliato le gambe ma ti sei rialzato...
"Prima di approdare al Savoia, avevo giocato in piazze come Trieste e Pistoia, che non avevano niente da invidiare al professionismo nonostante fossero in Serie D: si respirava calcio vero anche in quella categoria. Savoia non era un piazza facile, e forse io non ero pronto, avevo solo 20 anni, e credo che ogni ragazzo abbia i suoi tempi. Sicuramente potevo anche fare di più, ma ho il grande rammarico di non aver avuto pochi anni dopo una nuova opportunità tra i professionisti: però l'attesa è valsa la pena".
È quindi vero che in Italia, un po' per cultura, si tende a non aspettare i giovani ma a pretendere subito tanto da loro?
"Probabilmente si, perché già in Serie D si deve crescere velocemente, i treni passano e vanno presi al volo. Però credo serva fare un po' di gavetta, la Serie D ha da sempre un ottimo livello, e offre spesso tanti giocatori che potrebbero tranquillamente fare la C ma non sono notati: categorie come questa ti aiutano a formarti nel carattere e nella testa, che fa poi la differenza. Io ho sempre cercato di non pormi limiti, ho solo cercato di fare sempre il professionista indipendentemente dalla categoria, e se a 28 anni sono tornato in C vuol dire che a qualcosa posso ambi, di storie belle se ne leggono tante. Ho una mentalità da sempre positiva, e in questo mi aiutano anche attività che svolgo extra campo".
Del tipo?
"Con Dario Paolillo e Luca e Marco Carnaghi, i miei agenti, faccio parte di EDU, Educazione Didattica Umana, un progetto con il quale riusciamo ad aiutare i bambini e ragazzi meno fortunati, permettendo loro di studiare e frequentare scuole calcio. Organizziamo partite, eventi, ci sono magliette all'asta, trovo giusto che chi ha più visibilità trasmetta messaggi positivi e si impegni dove può".
A proposito di bambini, il calcio è stata una tua passione fin da subito?
"Ho iniziato a dare i primi calci al pallone in piazza, con un sogno nel cassetto, quello di diventare l'idolo dei bambini. Sognavo spesso di giocare in stadi pieni, per me è un'emozione ogni volta che vedo un pubblico importante, è la cosa che mi fa sentire più realizzato. Perché è la passione ciò che manda avanti tutto, gli occhi con cui guardi: e ora sono felice".
Il tuo, invece, di idolo?
"Non ho mai avuto un calciatore in particolare a cui ispirarmi, il calcio è cambiato negli anni e credo ci si debba sempre adattare: prima era più tecnico, ora più fisico, si devono sempre tenere gli occhi vigili e attenti su tutto".
Negli anni, però, ti è stato affibbiato il soprannome "Cobra". Da cosa nasce?
"È stato mio cugino Valerio a ribattezzarmi così: con lui condividiamo la passione del calcio, gioca in Serie D a Trastevere, e ci supportiamo a vicenda. È un soprannome nato per gioco, con interpretazioni varie e interpretabili... diciamo che ogni supereroe ha il suo soprannome! (ride, ndr)".
Spiegati meglio...
"Ma no, la suspense è bellissima, fa più letture! (ridiamo, ndr)".