Hubner racconta la sua carriera: "Dopo 18 anni di professionismo ho comprato la macchina che volevo"
Ai microfoni di Fanpage.it, Dario Hubner racconta la sua carriera con diversi salti nell'attualità, svelando qualche aneddoto di vari periodi del suo percorso calcistico tra Brescia, Piacenza e Cesena; raccontando anche i suoi inizi e il suo modo di intendere il gioco del calcio.
"Fino a vent'anni giocavo in Prima Categoria e lavoravo, facevo il fabbro. Ho fatto un paio di tornei e il direttore sportivo del Treviso mi ha visto e mi ha chiamato per fare il ritiro con la squadra che era in C2, ma che quell'anno retrocesse in Interregionale. Io sono passato da fare il fabbro a giocare a calcio. Ho detto 'Provo un anno e poi vedo'. Mi sono licenziato e sapevo che mi avrebbero ripreso di nuovo a lavorare se non avesse funzionato, perché ero bravo. Ho tentato. Ho provato a fare un anno ma non mi sentivo giocatore, devo essere sincero. In C2 si prendeva appena più di un operaio, per cui guadagnavo quelle 200-300 mila lire in più. Mi piaceva perché giocavo a calcio e mi davano anche i soldi: era il top, però non mi sentivo giocatore".
"A fine anno 2000-2001 il Brescia decide di puntare su un altro centravanti, su Toni, per cui mi libera. Tramite il mio procuratore il direttore sportivo Collovati del Piacenza mi chiama e mi dice: 'Dario vorresti giocare nel Piacenza? Siamo una squadra neopromossa, siamo un'ottima squadra, ci allena Novellino e a lui piaci molto. Ti vorrebbe qui'. Io ho chiamato un amico che aveva già avuto Novellino, mi ha detto: 'Dario, vai subito perché Walter ha il gioco ideale per te'. Accettai subito e devo dire che mai scelta fu più azzeccata. Avevo una squadra che giocava per me, avevo dei grandi giocatori perché c'erano Matuzalem, Volpi, Gautieri, Paolo Poggi, Di Francesco... eravamo una bella squadra".
"Tanti magari andavano in giro per discoteche il giovedì o il venerdì notte. Però rimane più impresso un giocatore che ha una sigaretta in bocca a fine partita che quello bravino, in giacca e cravatta, che al venerdì sera sta fino alle quattro ubriaco in discoteca ma non si fa vedere. Quello non si è fatto vedere, allora è bravissimo ed è un professionista. Uno come me che fuma davanti alle telecamere non è un professionista. Molte volte sono più professionisti quelli che sembrano non professionisti di quelli che si fanno passare per professionisti. Te lo posso assicurare al 100%".
"Io non ho giocato nella Juve, nel Milan, nella Roma. I miei contratti non erano faraonici, ma diciamo che le mie piccole soddisfazioni me le sono prese. Dopo 17-18 anni di professionismo la macchina che mi piaceva me la sono comprata. Non il Ferrari, però all'epoca c'era il Porsche Cayenne. Parliamo di cifre molto minori. Qualcosina logicamente mi sono preso, però non ho mai esagerato, perché se esageravo ero in mezzo a una strada subito. Ho fatto il calciatore a certi livelli, ma non con certi contratti, per cui bisogna anche stare attenti a fare le giuste differenze"