Lazio, il manifesto del Baroni pensiero: “Modello di squadra, non di calcio”
È una delle assolute rivelazioni di questi ultimi anni in Serie A Marco Baroni. Il tecnico toscano, dopo le due miracolose salvezze con Lecce e Verona, si è guadagnato “l’occasione di una vita” sedendosi sulla panchina della Lazio e la sua avventura è iniziata alla grande, nonostante lo scetticismo iniziale. Dodici vittorie nelle prime sedici partite ufficiali, nessuno nella storia della Lazio era riuscito a fare ciò che ha fatto Baroni in questi primi tre mesi. Il tecnico ieri è intervenuto sui canali ufficiali biancocelesti e ha riassunto perfettamente quello che è il suo pensiero, più che il suo calcio. “Non porto mai un mio modello di calcio, ma un modello di squadra. Non posso chiedere a un giocatore di non fare qualcosa che sa fare bene perché non funzionale al mio calcio”. E qui sta l’analisi del singolo, l’obiettivo concreto di valorizzare al massimo ogni calciatore, da un giovane come Rovella a un veterano come Pedro.
Lazio, il modello di squadra di Baroni
Prima di tutto serve un riferimento, un esempio da seguire. Fin dal primo giorno di ritiro ad Auronzo di Cadore Baroni ha eletto Pedro a riferimento per i suoi compagni. Da lì si crea un modello da seguire per serietà e applicazione, fissando degli standard da rispettare. Poi si struttura l’idea che serve per valorizzare la squadra, proporre un calcio dinamico, fisico e privo di posizioni fisse. Con giocatori come Guendouzi e Rovella si può rischiare di più, alleggerire il centrocampo e “caricare” di più la fase offensiva. Con Castellanos che lotta in mezzo ai centrali e apre spazi si può inserire un trequartista atipico, molto più attaccante che rifinitore come Boulaye Dia. Le catene sugli esterni devono essere composte da due giocatori, ci devono essere sempre due esterni capaci di interagire tra loro. Uno che crei pericoli dal fondo, uno che riempia l’area di rigore. Ecco che allora Zaccagni e Isaksen a piede invertito vengono dentro al campo, lasciando spazio a Lazzari e Tavares per spingere a loro piacimento. Due ali aggiunte, che lasciano soli i centrali. Qui subentra il coraggio, la voglia di accettare l’uno contro uno di Gila e la capacità di leggere ogni situazione di Romagnoli. E poi l’aspetto umano, l’approccio col gruppo. Tutti devono sentirsi importanti e soprattutto tutti devono fidarsi dell’allenatore. “La coerenza per un allenatore è fondamentale. Voglio sbagliare per secondo, voglio capire le cose che non funzionano e capirlo velocemente. Voglio essere più autorevole che autoritario, da calciatore odiavo l’allenatore che prendeva in giro i giocatori e che non era coerente. Non mi piaceva chi cercava alibi e non era schietto, è meglio una verità che fa male ma che fa crescere piuttosto che una finta verità per proteggere. Sono un uomo di mare e nel mare devi prevenire. L’attenzione è sempre proiettata per capire cosa può accedere, se reagisci dopo che qualcosa è avvenuto è già troppo tardi. Questo vale in mare e su un campo da calcio”.