Natan, dalla terra del calcio a Napoli: lo scouting funziona ancora bene. Ora tocca a Rudi Garcia farne un Kim
Qual è la città più italiana nel mondo? Nessuna di quelle che vi viene in mente. Perché dovete viaggiare in un altro continente per scoprire la risposta. Ma non è nemmeno Buenos Aires, è invece la metropoli di San Paolo, che ha tra i 5 e i 6 milioni tra italiani di passaporto e discendenti e quindi con la possibilità, qualora lo desiderassero, di ottenere la cittadinanza del nostro Paese.
San Paolo non è una città, ed è pure oltre il concetto di metropoli: è un agglomerato urbano che alloggia più di dodici milioni di persone. L’area metropolitana (compreso il cosiddetto ABC Paulista, l’area industriale a sud) che fa da contorno alla città è occupata da più di 20 milioni. E questa è la capitale dello stato di San Paolo. Se comprendiamo anche l’interior, come lo chiamano i brasiliani, arriviamo a quasi 50 milioni di abitanti. Uno stato.
Il governatore dello stato di San Paolo, regione traino del Paese, ha quasi lo stesso potere del presidente della repubblica brasiliana. E siccome il Brasile è il Pais do Futebol, è chiaro come stiamo parlando della zona con maggiore densità di calciatori del mondo intero.
Secondo la voce degli storici, è anche il luogo dove si sviluppa il calcio, nel Paese, grazie all’inglese Charles Miller. Scrivo, nel mio libro “Locos por el Futbol”: “Il calcio è arrivato in Brasile come football, quindi all’inglese. I brasiliani sono allergici alle verità ufficiali, e se l’odio tra Bergamo e Brescia o Pisa e Livorno vi sembra la massima espressione del campanilismo mondiale... be’, allora non conoscete il disprezzo che si riservano paulisti e carioca, o il fossato che divide gli inquilini del Rio Grande do Sul (gli orgogliosissimi gauchos) dal resto del Paese. La tesi più accreditata individua il pioniere nel baffuto Charles William Miller, paulista di padre scozzese e mamma inglese. Spedito dai suoi a studiare in Inghilterra, conobbe la bola, la palla, al Saint Mary’s (la squadra da cui sarebbe nato il Southampton) e tornò in patria con due palloni sotto le ascelle, una pompetta per gonfiarli, un paio di scarpette chiodate e il libro delle sacre regole. Il 14 aprile 1895 organizzò in un campaccio di periferia, la Varzea do carmo (dove ora corre rua do Gasômetro, nel quartiere italiano Bras di San Paolo), il primo match giocato in terra brasiliana: Companhia de Gás de São Paulo e The São Paulo Railway Company le squadre della disfida, in campo solo inglesi o brasiliani originari della terra d’Albione.”
A partire da quel momento si moltiplicarono le squadre, soprattutto, appunto, nella zona di San Paolo. Il Bragantino è il club della città di Bragança, appunto, interior paulista, ed è stato fondato negli Anni Venti. Un club storico ma senza un passato glorioso. Assurto alle cronache negli anni Novanta per aver conquistato un titolo dello stato di San Paolo, mettendosi dietro tutte le grandi: al comando della squadra c’è un giovane allenatore, ambizioso e preparato, Vanderlei Luxemburgo, poi arrivato fino alla panchina del Real Madrid, e in mezzo al campo, a dirigere Mauro Silva, che impressionò tutti e infatti fu chiamato non solo nella Seleçao ma anche per essere l’architrave del Deportivo La Coruna, all’epoca “SuperDepor”. L’anno successivo, con Luxemburgo chiamato sulla panchina del poderoso Flamengo, ecco affacciarsi un tecnico che ritorna in patria dopo la parentesi araba (cinque anni in Arabia Saudita, che non era calcisticamente quella di ora, e poi Emirati, che guiderà al mondiale italiano): si chiama Carlos Alberto Parreira, è stato preparatore atletico del Brasile del Mondiale del 1970 e ha scoperto una nuova passione, allenare: gli andrà bene, controllate pure l’albo d’oro dei Mondiali.
Con Parreira il Bragantino sfiora il titolo nazionale, quello brasiliano, perdendo la finale con il grande San Paolo di Tele Santana, poi campione del Mondo per due anni consecutivi battendo in finale prima il Barcellona di Cruyff e l’anno dopo il Milan di Capello.
Il Bragantino vive anni di gloria poi la caduta. E un pallido vivacchiare. Fino a che nel 2019 il colosso Red Bull decide di investire davvero in Brasile. Una squadra già l’avevano, Red Bull Brasil con sede a Campinas, vicino Bragança: ma il potere attrattivo era troppo limitato. Era necessario, visto il continuo sviluppo del calcio brasiliano, di avere una squadra nella massima serie: ed ecco, anche se tra mille polemiche ( e l’aggiunta del colore rosso al classico bianconero del club), il Red Bull Bragantino.
A differenza di altre realtà con club satelliti, alla Red Bull pretendono un calcio aggressivo e di proposta in ogni club che porta il loro nome, retaggio dell’idea iniziale dell’ex coordinatore Ralf Rangnick. Per eseguire questi dettami ci vogliono oltre a buoni allenatori (prima Mauricio Barbieri, oggi il portoghese Caixinha) pure i giocatori giusti, e la nuova società sa riconoscerli, e andarli a prendere. Uno di questi è Natan, che il club preleva dal Flamengo. Anche il neo difensore del Napoli, manco a dirlo, è nato nello stato di San Paolo (anche se cresce in quello di Espirito Santo, a nord di Rio) e inizia a giocare nella città di Campinas, che io chiamavo cittadina prima di andarci: ha più di un milioni di abitanti e vive da città vera. Inizia la formazione nella Ponte Preta, uno dei club storici del Brasile, poi passa al Mengao. Grande fisico e già buona tecnica, soprattutto un sinistro educatissimo, tanto che al Fla non capiscono proprio perché quel laterale non l’hanno mai provato, o provato con continuità, in mezzo alla difesa. Da quando evoluisce lì, il suo potenziale esplode. Debutta in prima squadra, e bene, ma viene sempre qualificato come un ragazzo delle giovanili, al Mengao c’è il richiamo internazionale delle superstar, e Natan non trova la continuità e soprattutto l’attenzione che merita. E che poi invece scopre al Bragantino divenuto Red Bull Bragantino.
In coppia con Leo Ortiz si trova benissimo, e le sue convinzioni aumentano con la fiducia del tecnico. Comincia a finire sugli scout di diversi club europei (si parla anche di Roma) ma non se ne fa nulla fino a questo mercato, quando arriva la chiamata del Napoli, che testimonia come lo scouting implementato da Giuntoli continua a funzionare bene anche senza di lui. Il club azzurro ha necessità di sostituire Kim, soprattutto ad avere un giocatore veloce, esplosivo e che sappia impostare. Quando il sudcoreano arrivò in città in molti dissero che Koulibaly era un’altra galassia. Ma poi c’è stato il lavoro di Spalletti per trascinarlo nell’altra galassia, così da ottenere la chiamata del Bayern che un anno prima nessuno avrebbe fatto (basterebbe riguardare le sue gare al Fenerbahce: è migliorato tantissimo in diversi aspetti del gioco). Ora il lavoro di Spalletti passa a Rudi Garcia. Il talento brasiliano ha buonissime qualità e letture, tocca inserirlo in un sistema che funziona. Viene da una terra di calcio, una terra italiana. la pasta è buonissima. Parola al campo.