Fiorentina, Dini: "Traditi dai big"
Non so cosa Italiano avesse visto negli occhi dei giocatori ma sicuramente si è sbagliato.
Partita giocata male, anzi malissimo, soffrendo l’energia degli avversari che era l’unica cosa certa.
Arthur e Bonaventura, che avrebbero dovuto dettare tempi ed aprire varchi, sono stati - assai prevedibilmente - controllati molto da vicino risultando ininfluenti.
I greci sono una squadra onesta e organizzata: con mezzo Nico Gonzalez allestiscono la rosa per l’intera stagione, magazziniere compreso.
Pochi concetti ma tutti chiari e ben eseguiti: si toglie il fiato all’avversario, al recupero palla si verticalizza subito e si cerca di sfruttare i calci piazzati ed i palloni calciati in area dalla trequarti.
Piovono, infatti, quando si liberano, traversoni tagliati e forti a ridosso dell’area piccola che nella Fiorentina evidentemente sono stati vietati per regolamento interno.
Già, la Fiorentina.
Ci aspettavamo gioco e invece stasera non venivano neanche i fondamentali.
Timorosi, col braccino, abbiamo buttato al vento un “rigore” con Bonaventura e poi due palloni interpretati male e calciati peggio da Kouamè e Ikonè.
Il grande assente è stato Nico Gonzalez, l’uomo sul quale, sbagliando, Italiano ha puntato tutto.
In difesa soffriamo poco, due tiri da fuori li concediamo, fortunatamente sono i palloni di Terracciano che, almeno su quelli, si allunga bene deviando in angolo.
Ma quando mancano tre minuti ai rigori, l’ennesimo pallone tagliato sotto porta viene spinto dentro da El Kaabi (chi sa chi fosse prima di tre settimane fa vince una settimana alle Cicladi).
Si perché i greci, anche se costa il giusto, un centravanti ce l’hanno.
Adesso c’è una squadra da rifare e una piazza da riavvicinare.
Questo trofeo avrebbe raddrizzato tanti mugugni e dato nuova linfa.
E invece adesso si deve rendere conto dell’ennesima occasione persa.
D’altra parte è il risultato sportivo a fare da spartiacque tra trionfo e fallimento.
E se tre indizi fanno una prova, tre finali perse diventano un marchio antipatico per la squadra, per chi la guida e per noi che la sosteniamo.
Soprattutto ora che non possiamo raccontarci che la squadra non fosse all’altezza di un avversario molto ma molto alla portata.