Basile: "Vivai e mercato, così è cambiata la MLS. Ma livello ancora basso"
“Il livello della MLS, se visto con l’occhio europeo, è ancora modesto”. Inizia così l’analisi di Massimo Basile, collega e corrispondente per il Corriere dello Sport e la Repubblica da New York. “C’è grande atletismo in campo, ma le partite sono ingenue e le difese superficiali. La novità, se così vogliamo dire, è la crescita e lo sviluppo dei tanti giovani”, spiega ai microfoni di TMW.
Nonostante il livello ancora basso, il soccer si è evoluto in questi ultimi anni…
“E’ cambiata la strategia rispetto al passato: non più vecchie stelle provenienti dall’Europa, ora si punta sui giovani, sugli homegrown player così come sui talenti in arrivo dal Sudamerica. Un esempio è Atlanta United, una delle squadra più in vista oggi, che ha trovato due argentini forti: Ezequiel Barco e Santiago Sosa. Oppure Cincinnati dove gioca Brenner, attaccante classe 2000 ex San Paolo. E infatti negli ultimi 4-5 anni sono arrivati sempre più osservatori europei in MLS, anche se ancora pochi italiani”.
Insomma, ci pare di capire che qualcosa si stia comunque facendo per cercare di colmare il gap con l’Europa.
“C’è voglia di preparare il terreno per il 2026 quando torneranno qua i Mondiali, questo sì. Ma ancora non c’è questa presa sul pubblico americano: il calcio è uno sport diverso da NBA o baseball, per esempio. Quelli sono sport tarati sulle richieste americane: il tifoso non vuol stare concentrato 90 minuti, seduto a vedere la partita. Qualche azione, uno scambio fra lanciatore-battitore, poi deve esserci il tempo per alzarsi e staccare. Pensate, appunto, alle partite NBA o a baseball e football. E poi il livello. Faccio un esempio: quando Ibra giocava a Los Angeles, in campo c’era lui e altri 21 atleti. Lui giocava a calcio, gli altri facevano sport”.
Basta questo per spiegare la poca presa sulla gente?
“Qua si gioca ancora senza pressione. Certo, in tv adesso le partite sono seguite, ma manca quella pressione che c’è nel calcio europeo anche perché non esistono retrocessioni e promozioni. Il soccer non ha ancora presa sul grande pubblico e gli americani storicamente amano gli sport di dominio, gli sport dove riescono a prevalere e a imporsi sull’altro. Per loro nello sport si deve esaltare l’individualismo mentre il calcio è qualcosa di diverso”.
La recente crescita ed affermazione di talenti americani in Europa, però, non può esser passata inosservata…
“Quello dell’esplosione e dell’affermazione dei giovani nello sport è un concetto tipicamente americano. Il fatto che McKennie si sia imposto alla Juventus ha esaltato gli americani. L’arrivo di un giovane come Reynolds alla Roma anche, così come Dest che adesso si sta facendo vedere al Barcellona e in Nazionale”.
Come si è arrivati alla formazione di giocatori di questo livello?
“E’ cambiata radicalmente la strategia della gestione e valorizzazione dei vivai, con un metodo ispirato a quello francese. Ci sono allenatori e coach “nazionali” che seguono passo passo i prospetti migliori e poi studiano dei progetti e dei programmi comuni. Esattamente come in Francia. E’ una sorta di programma nazionale, pur con tutte le difficoltà che un paese del genere presenta. Durante la stagione ci sono delle finestre in cui i migliori si ritrovano, si allenano insieme, giocano tornei. Sono delle vetrine pazzesche, infatti molti club europei mandano i propri osservatori. Anche in questo caso, però, l’Italia è indietro”.
Il salary cap è una delle prerogative del soccer. Vedendolo da vicino, pensa sia applicabile in Europa?
“Io sono un sostenitore, del salary cap e delle limitazioni alle rose. E’ un modo per tutelare “le altre” e non solo le big, non solo chi ha più potenza economica. Lo sport americano ha quasi un’idea socialista alla base, perché si cerca di tutelare ogni società e non solo le grandi o le più ricche. Sarebbe interessante vederlo in Europa, tutte le squadre avrebbero possibilità di cresita”.
Il calcio italiano visto dagli Stati Uniti.
“Qua la Serie A continua comunque ad avere molto seguito, non come la Premier ma comunque piace a una fetta di pubblico. Tant’è che in molte partite c’è il doppio commento, sinonimo di importanza. Chi attrae negli ultimi mesi è soprattutto la Roma, perché ha una buona base di tifosi e per l’arrivo di Friedkin, ovvero colui che è considerato una sorta di imprenditore illuminato perché ha avuto successo in quasi tutti i campi, dal cinema alle auto. Ha attratto l’attenzione di tanti altri imprenditori americani. La Roma mi sembra stia prendendo la direzione giusta, nelle prossime settimane aprirà anche una Roma Academy a New York. La Juventus è sempre stata seguita, storicamente, e oggi c’è interesse in ciò che sta facendo anche con McKennie. Molto meno il Milan. La Fiorentina qua avrebbe enormi potenzialità anche per il nome della città che rappresenta: l’evento di due estati fa a Times Square e nel Bronx ebbe successo, ma ancora non c’è stata quella penetrazione che mi sarei aspettato”.