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Ursino si racconta: “Da Roccella al Crotone dei miracoli. Sulle note di a mano a mano

Ursino si racconta: “Da Roccella al Crotone dei miracoli. Sulle note di a mano a mano”TUTTO mercato WEB
mercoledì 27 marzo 2024, 09:06I Giganti del Calcio
di Alessio Alaimo

Classe 49, gli ultimi anni del Crotone che regalava soddisfazioni, per chi ne abbia memoria portano la firma di Giuseppe Ursino. Per circa trent’anni è stato il direttore sportivo della società calabrese. Quella che dalle categorie più basse ha raggiunto la vetta della Serie A. L’esperto dirigente apre le porte della sua Roccella Jonica alla rubrica “I giganti del calcio” di TuttoMercatoWeb.com. Dagli inizi della carriera ai giorni nostri, con un futuro ancora tutto da scrivere. Magari come consulente di mercato o responsabile dell’area tecnica di chi vorrà puntare sull’usato sicuro.

Ursino, come diventa dirigente?
“Da piccolo giocavo al Roccella Jonica, ero nella categoria NAG. Sono stato campione regionale della categoria. Ho iniziato così. Poi ho cominciato a giocare in prima squadra. A ventisei anni dopo la morte di mio padre ho avuto un rifiuto a continuare a giocare, non riuscivo a dare del mio meglio. Giocavamo in quella che oggi è la Serie D. All’epoca il presidente mi disse che avrei dovuto fare il direttore sportivo. Volevo farlo. Così ho iniziato e abbiamo giocato campionati splendidi. Andavo in giro per le categorie inferiori e anche al mercato ad Agrigento. Quando è nato il mio primo figlio, Francesco, che non c’è più, ero al calciomercato”.

E comincia a fare sul serio, con il Chiaravalle.
“E siamo andati subito in Serie C2. Da lì è partita la mia strada. Poi sono andato al Catanzaro dove sono stato sei mesi, non mi piaceva e ho scelto di andare via. E poi sono andato al Crotone”.

La sua storia è legata al Crotone per circa trent’anni. Ha mai avuto la possibilità di andare via?
“Qualche richiesta l’ho avuta. Ma quando ti affezioni alla società e alle persone è difficile andare via. I presidenti non mi hanno mai imposto un giocatore”.

La sua scoperta più bella?
“Sicuramente Bernardeschi”.

Come lo ha scoperto?
“Era ferragosto, ero a casa con mio figlio Graziano e guardavamo la tv. Trasmettevano il reality sulla Primavera della Fiorentina. Noi avevamo bisogno di un esterno, giocavamo con l’esterno alto a destra con il piede invertito. Guardando il reality vidi un ragazzino che calciava con il sinistro: era lui. Chiamai il Presidente Gianni Vrenna e gli dissi che lo avremmo dovuto prendere. Quando lo abbiamo preso e l’ha visto Drago - il nostro allenatore dell’epoca - mi ha detto ‘Direttore, ma che giocatore mi ha preso?’”.

Tra le sue scoperte c’è anche Florenzi.
“Dovevamo prendere Pettinari… ma avevo visto lui in Primavera e così ho detto alla Roma che li volevo entrambi. Con Sabatini ci fu una battaglia bonaria: avevo preso il ragazzo in prestito con diritto di riscatto della metà. Per metterci d’accordo siamo andati a Milano tre-quattro volte senza concludere niente”.

Il calciatore da cui si aspettava di più?
“Pettinari. Era il miglior giocatore del settore giovanile della Roma. Per me doveva arrivare in Serie A”.

Cosa fa Beppe Ursino fuori dal campo?
“Sto con la famiglia, che ho trascurato molto negli anni. Ho trovato una moglie molto brava, che ha educato i miei figli in maniera impeccabile. Uno è nel mondo del calcio, l’altro l’ho perso troppo presto, a ventisei anni: era un ragazzo eccezionale, un ingegnere elettronico. Me lo sono goduto per ventisei anni.
Che sia in campo lavorativo o nella vita di tutti i giorni prima di tutto rispetto le persone: i miei genitori mi hanno insegnato a rispettare tutti e cerco sempre di seguire i loro insegnamenti”.

Calcio a parte, hobby particolari?
“Guardavo tennis e ciclismo. Poi il ciclismo dopo la vicenda Pantani l’ho abbandonato. Mi piace andare in giro con mia moglie, sono appassionato dei paesi piccoli che hanno una storia. E ascolto musica”.

Canzone preferita?
“A Roccella c’è il Festival del Jazz, un genere che mi piace. E poi c’è Rino Gaetano: a mano a mano mi è rimasta in testa, quando siamo andati in Serie A i ragazzi l’hanno cantata a squarciagola anche in pullman e quando la sento mi commuovo. Dopo la morte di mio figlio, dal 2006, non sono mai più riuscito a gioire pienamente: in quell’istante si. Mi ricordo tutto”.

A Crotone tanti talenti valorizzati e una gestione minuziosa dello spogliatoio e sul mercato. Ha mai avuto l’occasione di andare una una grande squadra?
“No. Lavorare al Sud è difficile: se fossi stato al Nord non so cosa sarebbe successo. Al Sud devi lottare due volte per emergere, devi inventarti qualcosa. Quando, grazie alla mia amicizia con Franco Ceravolo, prendevo contatto con il mondo Juventus mi piaceva guardare come lavoravano. Avevo un bel rapporto con Luciano Moggi. Se avessi lavorato al Nord magari le cose sarebbero state diverse. Ma sono contento di tutto ciò che abbiamo fatto a Crotone. Con Raffaele Vrenna (senior, ndr), Sasà Gualtieri con cui abbiamo vinto il campionato dalla C alla B e poi con Gianni per tanti anni a Crotone, grazie anche al gruppo di lavoro e alla collaborazione di Anselmo Iovine, Emanuele Roberto, e Carlo Taschetti, abbiamo fatto cose fuori dal normale. Ma devo l’inizio del mio percorso a Crotone a Luigi Vrenna, padre di Raffaele e Gianni. Lo chiamavo Zio Luigi, mi ha trattato come un figlio”.

Da Crotone qualche anno fa è andato via…
“Non avevo più stimoli. Gli ultimi due anni ho avuto anche qualche problema. Era giusto che il presidente facesse le sue scelte senza pensare a me”.

È ancora pronto a battagliare sui campi e sul mercato?
“Si. Ma solo davanti ad un progetto giusto. Oggi mi piacerebbe lavorare come responsabile dell’area tecnica o consulente più che come direttore sportivo”.

Tra i giovani dirigenti chi le piace?
“Con Cristiano Giuntoli abbiamo un modo simile di vedere il calcio. L’ho conosciuto a Carpi. È una persona preparata e rispettosa. Un altro dirigente molto valido è Piero Ausilio. Un giovane che può arrivare è Manna. E mi piacciono anche Dario Baccin e Pietro Accardi. Faranno strada”.

Che consiglio darebbe ad un giovane che vuole fare il direttore sportivo?
“Di essere prima di tutto onesto e rispettoso verso i presidenti, i colleghi e il mondo esterno. Quando si devono prendere le decisioni, il direttore deve prenderle in prima persona. Bisogna saper gestire calciatori e tutto ciò che c’è intorno. E la fiducia del presidente è fondamentale, ti aiuta a gestire i momenti meno belli”.

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