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TMW RADIO - Mazengo Loro: "Vi racconto l'Uganda da italiano, è molto meglio di quanto si creda"

TMW RADIO - Mazengo Loro: "Vi racconto l'Uganda da italiano, è molto meglio di quanto si creda"
lunedì 13 luglio 2020, 19:04Calcio estero
di Dimitri Conti
Archivio Stadio Aperto 2020
TMW Radio
Archivio Stadio Aperto 2020
Stefano Mazengo Loro, giocatore KCCA FC, ai microfoni di Francesco Benvenuti
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Stefano Mazengo Loro, centrocampista italiano che gioca nel massimo campionato dell'Uganda, in forza al KCCA, ha così parlato ai microfoni di TMW Radio, intervenendo nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "L'Uganda è il mio presente, passato e futuro. Casa. Ho firmato un contratto che inizierà questo mese, purtroppo qua la situazione del Covid impone ancora un mezzo lockdown: sport, scuole, bar e altri posti sono chiusi, gli allenamenti devono ricominciare. Da gennaio a marzo però mi sono già allenato con loro, attendiamo notizie dall'alto".

Ci racconta la sua storia?
"Sono nato in Italia ma l'Africa è nella mia vita da prima di me. I miei nonni materni, medici, si sono sposati e sono partiti per il Kenya. Mia mamma è nata lì, ed ha vissuto in Kenya qualche anno prima di venire in Italia: ha fatto il percorso inverso a me. I miei si sono conosciuti in Tanzania nel 1988, a Dodoma. Io sono nato nel '94, ed ho vissuto tra Trentino e provincia di Padova: fino agli 11 anni sono rimasto in Italia, finché in estate siamo partiti per l'Africa. All'inizio, anche per la lingua, è stato difficile integrarsi, c'è stato un cambio radicale. Poi è successo grazie al calcio, finché l'Uganda e Kampala non sono diventate la seconda casa".

Qual è il livello del calcio in Uganda?
"Migliorato molto negli ultimi anni, per fortuna. Comunque è molto meglio di quanto la gente pensi. Io avevo fatto tre anni nel Verona, con mio fratello maggiore di due anni, fino al 2006, e la ragione primaria per cui non volevo venire qua era non abbandonare il sogno. Sono venuto qua, entrando nel KKL: ho trovato giocatori under-12 fortissimi, e ho pensato che se fossero venuti in Italia sarebbero diventati tutti titolari al Verona. Lì ho ricevuto il primo shock positivo, anche perché quella squadra ha vinto più di una volta un torneo giovanile europeo a Goteborg. Tra loro ci sono anche giocatori professionisti, che hanno giocato in Champions ed Europa League. Quello che manca sono management ed infrastrutture: solo tre squadre nel campionato hanno campi in erba o artificiale, si trovano spesso campi di patate. Di talento ce n'è un sacco, per un anno ho lavorato nel nord dell'Uganda, la parte più povera, e pure lì di gente che ha imparato a giocare a calcio per strada ne ho trovata tanta, ma manca quel salto di qualità che si vede nei nordafricani o in quelli dell'ovest. Non so perché non ci sia stato un Drogba o un Eto'o ugandese, speriamo ne spuntino presto un paio. Si racconta di una corsa esagerata, ma non è quello l'aspetto primario. Manca un po' l'aspetto tattico, quello sì, non hanno la stessa scuola cui noi siamo abituati sin dalla più giovane età".

Com'è stato realmente l'arrivo in Africa, al di là degli stereotipi?
"Ti apre la mente, innanzitutto. Io ad esempio metterei l'Erasmus obbligatorio: l'unico modo perché la gente apra la mente è viaggiare. Quando esci dal tuo paesino sei sperduto, non ti senti a casa e devi interagire con la gente del posto, imparare. Non ho subito uno shock culturale, anche perché mio zio è qua da trent'anni. Arrivando, mi sono rotto il braccio prima di entrare alla scuola internazionale. Alla gente che mi chiedeva in inglese cosa avessi non sapevo rispondere. Dopo un po' però impari la lingua e ti integri".

Quali campionati sono più seguiti?
"La Premier League innanzitutto. Io la passione che c'è qua non l'ho vista da altre parti. So che si parla a volte di Turchia, Sudamerica eccetera, ma qui se gioca una partita la Nazionale vedi feste continue, balli, musica... Un'atmosfera che non si trova. Dopo la Premier League, arrivano Liga e Serie A. I bar quando ci sono big match sono sempre pieni".

Ha pensato già a cosa fare in quel contesto dopo il calcio?
"Me lo ero dato prima che succedesse tutto questo. A giocare a calcio me la sono sempre cavata, dopo le superiori sarei dovuto andare a Boston per una borsa di studio, ero sicuro che sarei andato. Mi sentivo troppo vecchio per l'Europa, ma negli USA avrei potuto giocare studiando. Per un problema mi è saltato tutto all'ultimo, e mi sono detto allora che, vista l'età, avrei potuto provare qualcosa in ambito manageriale, visto che seguo qualsiasi sport. Infine tramite un amico siamo riusciti ad organizzare un provino, al quale mi sono presentato però totalmente fuori forma. Non era facile... Si parla di razzismo in Italia, anche qui ce n'è una forma inversa, in modi diversi, ma ci sono abituato. Mi hanno fatto giocare in un ruolo che non conoscevo, il mediano stile Busquets, e dopo qualche mese ho deciso di provarci. Il futuro dal punto di vista economico magari diventerà più gradevole, ma per chi mi chiede il motivo per cui l'ho fatto rispondo di leggere il libro "L'Alchimista" di Paulo Coelho".

Come ha vissuto il paese l'emergenza Coronavirus?
"Qui la situazione fa un po' ridere, nel senso che dopo tutti questi mesi siamo ancora a 1000 casi circa, secondo i numeri ufficiali. Niente in confronto al resto del mondo. All'inizio il presidente ha chiuso prima che arrivasse la grande ondata, e inizialmente non si poteva neanche uscire, c'era il coprifuoco: cose che non si vedevano dai tempi dei dittatori. Da vent'anni c'è la pace, ed è la cosa più sentita dalle persone: inizialmente c'era molta paura, io provavo a parlare con i miei compagni ed informarli meglio sulle cose. Il lockdown è di un paio di mesi, ma i casi non sono mai saliti tanto. Adesso ad agosto Kenya e Ruanda apriranno gli aeroporti, mentre l'Uganda no: il problema è che la maggior parte della gente non ha soldi messi da parte in questo paese, e in ogni caso deve andare a lavorare, seppure a piedi. Quindi a Kampala c'era un lockdown molto forte, ma fuori nei villaggi no. Poi c'è il fatto che il 70% del paese ha meno di 35 anni, si vedevano video di positivi che ballavano in ospedale, perché per il 95% erano asintomatici. Non credono più a questa cosa, adesso, ne hanno abbastanza".

L'obiettivo è vincere il titolo?
"Sì, ce la giochiamo. L'obiettivo è sicuramente vincere campionato, Uganda Cup e un'altra coppa, ma quello più grande di tutti è qualificarsi per la Champions League africana, come avvenne 2 anni fa. Siamo ai preliminari, ma solitamente al secondo turno veniamo buttati fuori... Arrivare ai gironi sarebbe una cosa molto sentita, andremmo a giocare all'estero e faremmo girare anche più soldi".

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