Aldo Agroppi, una vita a "Gamba Tesa"
È venuto a mancare Aldo Agroppi, una notizia che non avremmo mai voluto ricevere, perché, se è vero che Agroppi era un cuore garanata “DOC”, i contorni erano anche viola, nonostante la sua permanenza a Firenze da allenatore sia stata legata, soprattutto, al quarto posto nel campionato di Serie A 1985-86, seguito, poi, da quella infelice parentesi del 1992-93.
Aldo, a Firenze, ha riscosso molta simpatia ed è sempre stato ricordato con affetto dopo quell’esperienza del 1985-86, che avrebbe potuto essere l’inizio di un bellissimo percorso.
Dopo aver mosso i primi passi nella sua Piombino, Aldo si trasferì sedicenne a Torino segnalato dal suo celebre concittadino, nonché ex granata, Lido Vieri (campione europeo nel 1968 e vice campione del mondo nel 1970 con la nazionale italiana). Non era un fenomeno, ma riuscì progressivamente ad imporsi attraverso quelli che sono sempre stati i canoni della sua vita e nei quali ha sempre creduto: serietà professionale, caratterizzata da una corretta alimentazione e da un corretto stile di vita, da sempre i punti di forza di Aldo che, quasi in forma maniacale, ha poi sempre sostenuto questi principi, i quali, secondo lui, erano la base per costituire un successo calcistico, indipendentemente dal talento.
La società granata lo mandò, ancora ventenne, a “farsi le ossa” prima a Genova (sponda rossoblù), poi a Terni in Serie C e a Potenza in Serie B.
Aldo arrivò, poi, a... opporsi all’ennesimo prestito al Modena nel 1967, perché voleva fortemente giocare nel Torino, al punto da rendersi protagonista di fatto unico per il calcio di quell’epoca, tanto da recarsi egli stesso nelle sale dello storico Hotel Gallia a Milano, sede del calciomercato dell’epoca, per indossare i panni del procuratore di sé stesso, chiedendo di parlare personalmente con il nuovo allenatore del Torino Edmondo Fabbri e riuscendo a convincerlo a portarlo, almeno, in ritiro per avere una chance.
Aldo sfrutto decisamente al meglio quell’opportunità, tanto che esordì, con la maglia titolare (numero 5), il 15 ottobre 1967 nella gara Torino-Sampdoria 4-2. Quel giorno, così tanto importante per Aldo, si trasformò, però, in uno dei momenti più tragici della storia granata quando, in serata, Gigi Meroni, la "farfalla" ed idolo dei tifosi del Torino, perse la vita venendo investito da una macchina, un dolore che accompagnerà, per sempre, la vita di Agroppi.
Quella di Aldo è stata, tutto sommato, una bella carriera agonistica, soprattutto con la maglia del Torino che indosserà, anche con la fascia da capitano, fino al 1975, quando passò al Perugia dove concluse la carriera nel 1977, esattamente nell’anno prima in cui il Torino vinse il suo ultimo scudetto. Riguardo a quel trionfo Agroppi era solito commentare, ironicamente, così: “Il Torino ha vinto lo scudetto perché si è liberato di me”. In realtà Aldo esultò, e come, per quel tricolore granata del 1976, a cui, in un certo senso, diede il suo prezioso contributo grazie all’importante successo ottenuto dal suo Perugia sulla Juventus, ancora in corsa per il titolo, in occasione dell’ultima giornata di campionato!
Forte del suo stile e dei suoi principi intraprese subito la carriera da allenatore, iniziando nelle giovanili del Perugia, passando al Pescara nel 1980 con cui sfiorò la promozione in Serie A, che poi centrò l’anno successivo sulla panchina del Pisa. Poi il ritorno a Perugia, il Padova, ancora Perugia fino ad arrivare all’estate del 1985 quando venne scelto dalla famiglia Pontello e dal direttore generale piombinese Claudio Nassi per guidare la Fiorentina post De Sisti (e Valcareggi). In quell’anno Aldo si conquistò la stima dello spogliatoio, riuscendo a gestire situazioni difficili, conducendo la Fiorentina al quarto posto finale che valse l’accesso alla successiva Coppa U.E.F.A.. Decisivo fu il successo a Pisa nell’ultimo turno, in cui i viola ribaltarono lo svantaggio grazie ad una doppietta di Passarella, che condannò, per altro, i nerazzurri alla retrocessione, dove Aldo fu protagonista di un pesante scontro con il presidente del Pisa Anconetani prima dell'inizio della gara per un motivo, probabilmente, solo all’apparenza futile: il tecnico viola, infatti, pretendeva le bottiglie dell’acqua con il tappo sigillato, cioè “vergini” come diceva lui, e non chiuse con altri tappi di dubbia… provenienza.
A Firenze impose fin da subito molto rigore e disciplina, al punto che, prima di un allenamento, allontanò e fece rivestire Passarella perché era arrivato in ritardo, mancando di rispetto, secondo i dettami di Aldo, sia all’allenatore che ai compagni di squadra. I rapporti col “Caudillo” si inasprirono fortemente al punto che, nell’intervallo di Atalanta-Fiorentina (terminata poi 0-0) del 27 ottobre 1985, Aldo accusò l’argentino di fronte ai compagni di scarso rendimento. Nella ripresa Passarella, punto nell’orgoglio, disputò una gara al limite della perfezione, per poi migliorare nel corso di tutto il campionato, in cui realizzò ben 11 reti diventando il bomber assoluto della squadra viola, nonostante il ruolo di libero. Dopo l’episodio di Pisa, tra Passarella e Agroppi si creò un solido rapporto, al punto che, al termine di quella stagione, il capitano dell’Argentina campione del mondo affermò che Agroppi era stato uno dei migliori allenatori che avesse avuto.
Agroppi è sempre stato un personaggio schietto, sincero e leale, caratteristiche rare da ritrovarsi così ben assemblate nel mondo del calcio, il tutto condito dal suo humor tipicamente toscano, che avrebbe potuto contribuire a fare di lui anche un grandissimo allenatore, se non avesse avuto il difetto di dire sempre le cose che pensava, senza essere minimamente ipocrita. Proprio la sua mancanza di ipocrisia lo ha portato a scontrarsi con certi “poteri forti” del calcio e ad inimicarsi, inevitabilmente, certi personaggi che gli hanno precluso la possibilità di fare una carriera più esaltante anche da allenatore.
E pensare che, da ragazzo, Agroppi simpatizzava per la Juventus e, in particolare, per il talentuoso Omar Sivori. Proprio della squadra bianconera, però, ne diventò progressivamente nemico affermando che “Chi come me, per anni, ha visto dal campo certe cose, non può credere alla buona fede degli arbitri. Lo stesso epilogo del campionato 1981-82, per me, non fu una sorpresa, esattamente come era successo l’anno precedente con il celebre gol, annullato, di Turone”.
Aldo era convinto che l’allenatore non potesse incidere sulla propria squadra in una misura superiore al 10% o 15%. Di Mourinho pensava che fosse un “incantatore di serpenti”, perché, secondo lui, le squadre allenate dal portoghese (che lui definiva “normalissimo one”) avrebbero raggiunto gli stessi risultati (o forse anche migliori) anche con altri tecnici in panchina, ricordando che, in 3 anni di Real Madrid, ad esempio, riuscì a vincere solo un trofeo.
Purtroppo la sua esistenza è stata minata caratterialmente da una depressione che lo ha accompagnato nel corso della sua vita, in particolare sin dalla morte di sua madre avvenuta quando Aldo era molto giovane. Agroppi ha dovuto sempre combattere con questa malattia invisibile che, per un tecnico di una squadra di calcio, non rappresenta certo un alleato, dimostrando, comunque, alte qualità per poter svolgere questa professione.
Aldo ci mancherà sicuramente, ci mancheranno i suoi commenti taglienti, efficaci e veritieri, ci mancherà la simpatia che ha sempre manifestato per la nostra Fiorentina.
Ciao Aldo, ti abbracciamo forte con tutto il cuore.
Il ricordo di Angelo Giorgetti:
Sfilano tanti e molto dolci ricordi di Aldo Agroppi, che remava contro le ovvietà con le sue battute affilate come lo scoglio. Era l’opinionista ideale perché in tv e alla radio parlava senza diplomazia, una rarità perché chi è stato nel mondo del calcio di solito ha paura di pestare i piedi a qualcuno e comunque spera di rientrare in gioco. Aldo no, andava a diritto, come quando gli fecero i complimenti per aver lanciato Nicola Berti e lui guardò il giornalista come se fosse un tonno: ‘Ma che dici, stai bene? E’ stato lui a lanciare me’. E anche quella volta cercavi di capire se sotto il baffo inclinato si nascondesse una presa per i fondelli o la verità.