Marotta: "Nel passaggio dalla Juve all'Inter fui visto come intruso. Ora credo di restare simpatico..."
L'amministratore delegato dell'Inter Beppe Marotta ha parlato a "Wolf - Storie che contano", il podcast condotto da Fedez, realizzato in collaborazione con la fintech Hype e la società di consulenza Be Shaping the future e prodotto da Doom Entertainment. Questa un'anticipazione del pensiero del dirigente nerazzurro anticipato da gazzetta.it: "Quando sono arrivato all’Inter forse la tifoseria mi ha visto come un intruso o peggio, visto che provenivo dalla Juve. Nello sport, però, sono i risultati quelli che contano e, per merito e per fortuna, da quando sono arrivato all’Inter, sono arrivati buoni risultati. Quindi ora credo di essere simpatico a buona parte degli interisti. Il mio futuro? Quando chiuderò la mia esperienza all’Inter (ha firmato da poco il rinnovo fino al 2027, ndr) voglio continuare a dedicarmi allo sport, ma in una dimensione diversa. Vorrei occuparmi dello sport come fenomeno sociale. In Italia non solo rispetto agli Usa, ma anche rispetto agli altri paesi europei, siamo molto indietro sia sulle strutture, sia sulla pratica dello sport di base. Voglio mettere a disposizione la mia esperienza perché i bambini e i ragazzi che vogliono giocare a calcio, e non solo, possano farlo gratuitamente in strutture adeguate".
Il nuovo stadio dell'Inter e le difficoltà nel restare a San Siro?
“Lo stadio è la casa dell’appartenenza calcistica, il luogo dei sentimenti, la storia. Ma gli stadi devono essere anche una fonte di reddito per le squadre. Anche in questo il calcio italiano è enormemente indietro rispetto ai principali campionati europei. Gli stadi devono essere strutture moderne e molti stadi italiani, invece, sono vetusti. San Siro va rispettato come icona, perché è stato un contenitore di grandissime emozioni, di passioni, rappresenta la storia. Ma bisogna guardare avanti. Purtroppo, gli interventi strutturali sugli stadi in Italia sono regolamentati da un’infinita serie di livelli burocratici e amministrativi, tanto che diventa impossibile realizzare qualsiasi cosa. Questa situazione ha fatto sì che le due società -Inter e Milan- abbiano cercato altre strade".
Il calcio e lo sport più in generale a livello di sistema?
"Il sistema dello sport professionistico italiano, anzitutto il calcio, risente della situazione economica del Paese. Le grandi aziende sono sempre meno e sempre meno capitali privati che possano essere messi a disposizione dello sport. Una volta c’erano grandi industriali che sostenevano il calcio e non solo. Quindi è stato necessario trovare altre strade e capitali al di fuori dei confini nazionali. Oggi la presenza di capitali stranieri nel calcio italiano è molto forte, fortunatamente. Pensiamo a Milano, le cui due squadre sono di proprietà una cinese, l’altra statunitense, e di ciò dobbiamo essere grati. Il calcio italiano inoltre sconta un forte gap di produttività rispetto agli altri campionati europei: i diritti televisivi -che costituiscono oltre il 70% dei ricavi delle squadre- per la Serie A valgono circa 1,3 miliardi, per la Premier League 4 miliardi. I nostri vivavi? C’è stata un’involuzione notevole, dovuta anche al fatto che una volta il calcio si giocava ovunque: dai cortili agli oratori. Inoltre, il sistema scolastico italiano non incentiva la pratica sportiva, anzi. Non abbiamo una realtà come quella americana, dove lo sport dalle high school ai college è una componente fondamentale del percorso formativo dei ragazzi, anche attraverso le borse di studio sportive. Altro grande problema è la mancanza di strutture per lo sport di base e giovanile".
Un passo indietro, con l'acquisto da parte della Juventus di Cristiano Ronaldo...
"L’acquisto di Cristiano Ronaldo da parte della Juve non ha portato i risultati sperati. Diciamo che il suo apporto non ha corrisposto alle grandissime aspettative che c’erano per il suo arrivo".