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tmw / inter / Editoriale
Capitani coraggiosiTUTTO mercato WEB
Oggi alle 08:58Editoriale
di Gabriele Borzillo
per Linterista.it

Capitani coraggiosi

Durante una stagione ci sono partite che possono, non sai nemmeno tu perché, cambiarne la storia. L’anno passato, per me, la partita è stata Inter-Verona: folle, giocata magari non benissimo, sfangata grazie all’intervento degli dei pallonari con quel rigore che una tifoseria intera ha spinto fuori dalla porta. Ecco, io non so se Inter-Genoa possa, in qualche modo, ricalcare quei novanta minuti indimenticabili: so però, ne sono sicuro, che vincere sfide così può caricare l’ambiente, la tifoseria, i giocatori.

L’Inter non disputa 90 minuti più recupero indimenticabili, anzi. Facciamo pure che una sessantina buona di quei minuti vorrei scordarmeli velocemente. Idee zero, movimento senza palla zero, copertura del campo zero, squadra slegata e lunga, a tratti lunghissima, una cinquantina di metri minimo tra la prima punta e l’ultimo difensore. Un’ora buona, tanto è durato l’immobilismo nerazzurro, con gli avversari a volte corti tutti dietro la linea della palla, a volte pronti a salire all’unisono per prenderci alti, tagliando tutte le linee di passaggio e obbligandoci a rilanciare lungo. Tattica azzeccata, ancor che dispendiosa assai. Insomma, per quell’ora buona Vieira impacchetta ben bene Simone, uomo a pressare il nostro primo portatore di palla senza sosta e fasce laterali presidiate senza sbavature, coi nostri due esterni autori di una prestazione insufficiente che ha favorito la tattica genoana. Una situazione alquanto disagevole e, diciamolo pure, senza una evidente via d’uscita.  

Le sostituzioni in casa Inter hanno portato effetti benefici: Calhanoglu ha cercato di prendere le redini della manovra, Asllani non aveva demeritato per nulla, sia chiaro, e Zielinski ha corso con intelligenza recuperando palloni e rilanciando l’azione senza perdere troppo tempo. Complice anche una minor pressione avversaria, la stanchezza in casa rossoblù è cominciata ad affacciarsi dopo il minuto sessantacinque, l’Inter ha avanzato il proprio raggio d’azione impossessandosi del centrocampo, zona franca fino a quel momento, e ribaltando l’azione con un certo quid di pericolosità. Questo cambio di marcia, sostituzioni a parte, dal mio personalissimo punto di vista ha nomi e cognomi: Lautaro Martinez e Nicolò Barella, non a caso il capitano e il suo vice.

Loro hanno preso i compagni per mano, loro a un certo punto hanno suonato la carica, loro hanno corso come pazzi su e giù per il prato verde battendosi come leoni contro tutto e tutti. A un certo punto, dopo la traversa pazzesca di Barella - sembrava che la maledizione dei legni dovesse colpire per l’ennesima volta, una sfiga assurda - tutti o quasi abbiamo pensato la famosa frase che qualcuno coniò non so quando ma che funziona dai tempi del Carlo Cudega: potremmo giocare fino a domani tanto non segneremmo mai.

Invece no. Invece, da un calcio d’angolo finalmente battuto come Dio comanda, direttamente in area di rigore senza schemini e schemetti strambi, spunta fuori il crapino del capitano dal mischione sottoporta: palla deviata da un difensore e gol. Delirio sugli spalti e nelle case dei tifosi nerazzurri. Perché questo non è un gol come gli altri. È un gol che ci consente di salire in testa anche solo per qualche ora, ci consente di andare a Napoli sapendo di potercela giocare senza nessuna fuga partenopea, ci consente di mettere un filo di pressione ai nostri diretti avversari.

L’Inter ha sofferto. Ha lottato. Ha vacillato. È rimasta in piedi. E, alla fine, ha vinto. Guidata dai suoi due uomini simbolo: Nicolò da Cagliari e Lauti da Bahia Blanca.

Alla prossima.