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Ranocchia: "Motta giocatore intelligentissimo, ma non pensavo sarebbe diventato allenatore"

Ranocchia: "Motta giocatore intelligentissimo, ma non pensavo sarebbe diventato allenatore"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
ieri alle 21:38Serie A
di Simone Lorini

Chiamarsi Bomber ha intervistato oggi Andrea Ranocchia, ex difensore tra le altre di Bari e Inter, con oltre 20 presenze nella Nazionale Italiana. Questi i suoi ricordi sullo spogliatoio nerazzurro: "Mi ricordo che c'erano Marco (Materazzi), Deki (Stankovic) e Sneijder che prendevano in giro Nagatomo in continuazione... C'è una storia famosa su Tronchetti Provera durante la cena di Natale: Nagatomo non parlava bene italiano, e Wesley e Marco gli avevano detto che quando incontrava qualcuno per presentarsi doveva dire 'Ciao bastardo', e Naga andava in giro a dirlo a tutti; quando lo ha detto a Tronchetti Provera lui si è gelato, e noi tutti dietro a ridere... Era uno spogliatoio in cui c'era grande agonismo, anche le partitelle di allenamento erano guerre, chi perdeva veniva preso in giro fino al giorno dopo e si rischiava anche di mettersi le mani addosso. Quella era la forza di quel gruppo".

Ti aspettavi che Thiago Motta sarebbe diventato allenatore? Che ne pensi delle critiche che sta ricevendo?
"Lui era un giocatore intelligentissimo, fuori dal comune, sempre ben posizionato e faceva sempre la cosa giusta, era disarmante la qualità che aveva. Lui tra l'altro è uno di quelli che mi ha aiutato tanto, mi chiamava Johnny Stecchino perché ero molto magro. In realtà non pensavo sarebbe diventato allenatore perché è un ragazzo molto introverso. A Bologna ha fatto molto bene, ora sta facendo un po' più di fatica ma secondo me è un po' tutto l'ambiente Juventus che è un po' complicato, si fa fatica a dare delle responsabilità. Naturalmente passare dal Bologna alla Juve è un salto enorme, ci vuole un po' di tempo per adattarsi".

Tornando all'Inter, Moratti era molto vicino alla squadra, quasi un papà...
"È vero, atteggiamenti da papà, parole da papà. Una persona di un'altra epoca, probabilmente come era Berlusconi per il Milan. Tutti i grandi patron italiani avevano questa caratteristica che li accomunava. Massimo veniva al campo, parlava con tutti, era molto presente. Anche nei momenti difficili aveva sempre una parola di conforto, sia per la squadra che per il giocatore singolo. Lui veniva e rassicurava tutto l'ambiente".

Dopo il ritiro di Zanetti erediti la fascia di capitano. Secondo alcuni è stato un momento spartiacque della tua carriera: è successo qualcosa?
"Era una fascia pesante... Diciamo che l'Inter non stava attraversando un bel momento in generale: cambi di proprietà, un ciclo decennale finito. Sinceramente mi sentivo pronto per quella responsabilità, mi sentivo di poter aiutare. L'ambiente era difficilissimo in quel momento, tanti cambi, giocatori che andavano e venivano, non c'era un progetto ben delineato. Tutti ne hanno risentito, io in particolare perché diciamo ero la persona più rappresentativa all'epoca, quindi ci sta che mi siano arrivate critiche addosso. È stata una grandissima scuola personale, oltre che un grandissimo onore: indossare la fascia di una squadra come l'Inter per un paio di stagioni è una cosa che non capita spesso. È stato comunque un ricordo bellissimo, la fascia la conservo incorniciata a casa".

Nel 2016 il passaggio alla Samp: avevi voglia di cambiare?
"C'è stato un confronto con l'allenatore, che all'epoca era Mancini. Mi disse che non avrei trovato spazio e io da calciatore volevo continuità Si aprì questa opportunità e ho deciso di andare lì".

All'Inter nell'ultimo periodo hai avuto anche Spalletti e Inzaghi: come sono?
"Fantastici. La 'triade' Spalletti, Conte, Inzaghi sono stati per me la rinascita personale e anche di squadra e società. Mi piace fare questo paragone: Spalletti ha scavato la buca e ha messo i primi pilastri, Conte ha tirato su il palazzo e Inzaghi lo ha arredato benissimo. Spalletti ha messo tanto di suo, riportando l'Inter in Champions con tutti i casini che c'erano; Conte ha dato mentalità vincente ripulendo l'ambiente; Inzaghi sta portando avanti il lavoro mettendo del suo, portando l'Inter in finale di Champions e in vetta la campionato. La società ha fatto un percorso incredibile, da Zhang in poi sono sempre cresciuti".

Da Arezzo, Bari, all'Inter, quanto era cambiato Conte?
"Niente, era uguale (ride ndr), si faticava sempre. A livello tattico qualcosa era cambiato perché a Bari giocava 4-2-4 e all'epoca veniva visto come un extraterrestre. La metodologia però non è mai cambiata, forse era leggermente più tranquillo, ma poco...."

A Monza una sola presenza e l'addio al calcio rinunciando al contratto: cosa ti disse Galliani?
"Dentro non sentivo più qualcosa... A Monza è stata una bellissima esperienza perché ho conosciuto il dottor Galliani, è tra i migliori dirigenti che ho avuto. Quando ho avuto quel brutto infortunio a Napoli ho preso la decisione di interrompere la mia carriera, non sentivo più quel fuoco. Avevo paura di dirlo a Galliani, ci ho pensato tre, quattro giorni prima di chiamarlo. Lui è stato un signore, una figura leggendaria per come si è comportato e quello che mi ha detto. C'è una cosa che mi ha colpito di lui: io sono stato al Monza due mesi e mezzo, e quando ho smesso ho rilasciato diverse interviste parlando sempre bene del Monza; ogni volta che rilasciavo un'intervista mi scriveva un messaggio 'La ringrazio per le belle parole'; questo ti fa capire la grandezza della persona, io ero stato lì solo due mesi..."

Ma è vero che tuo nonno tifoso laziale voleva che andassi in biancoceleste?
"Sì in ogni sessione di mercato ci sperava ma non sono mai stato vicino ai biancocelesti".

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