Le dimissioni di Motta risolverebbero tutti i mali?
Il progetto è l’anima della vita. È la concretizzazione di quell’esser-ci che è sempre proiettato avanti rispetto a sé. Il progetto è la cura che si ha di sé, delle altre persone, del proprio mondo. L’amore più reale. Non è solo un grosso foglio di carta sporcato con disegni squadrati, né una fantasticheria tagliata come un piano d’azione. In pochi ormai oggi riescono a giustificare l’altalenante pessima Juventus incapace di reagire e svogliata alla vittoria, motivando il tutto come il difficile inizio di un progetto a quanto pare triennale, tracciato dai vertici societari per ritornare ai fasti del tempo che fu. Ebbene, se queste sono le fondamenta, in assenza di leader, senza vigore né fisico né psicologico, non oso immaginare il completamento della costruzione al tramonto del triennio.
Anche in questa stagione, come ahimè da alcuni anni, si aspettava la manna dal cielo che potesse dare all’arido clima desertico bianconero lo scossone alla mediocrità e la spinta verso l’alto, sulle vette di classifiche peninsulari ed europee. A questo giro, il taumaturgo di turno sarebbe dovuto essere il nuovo mister Motta, scelto e voluto, già allenatore del Genoa, Spezia e Bologna. Povero e spaesato Thiago, inesperto e alla Juventus, una miscela fatale, tanto è che, oltre ad avere sempre un nervoso sorriso sulle labbra, a inginocchiarsi in panchina guardando una Juve che non c’è, ora non solo ha smesso di pareggiare, passando la palla alla sconfitta, quanto comincia anche a parlare lingue straniere nelle interviste con giornalisti italiani… nella speranza che non passi all’aramaico, forse già usato per dare ordini tattici ai suoi prodi in campo. I bianconeri, spesso ma significativamente solo in nero come contro il Benfica, sono scaraventati sul rettangolo verde come brandelli dell’Armata Brancaleone: nessuno sa cosa deve fare, veloci come i più lenti tra i bradipi, ruoli saltati e tutti fuori posto. Un esercito allo sbando con sette capitani, e quello vero cacciato via! Una “Caporetto”.
E se Beckett aveva ragione? Sono certo che il titolo del capolavoro del teatro dell’assurdo viene citato spesso anche da chi non l’ha né letto né visto a teatro, ma si tratta di un testo talmente significativo ed emblematico da essere diventato un luogo comune anche per chi non ne conosce la sostanza: l’assurdo, materia sfuggente e impalpabile. Godot dovrebbe risolvere tutti i problemi di Vladimiro ed Estragone, lo aspettano, ma non arriva. Alla fine i due si dicono: «Andiamo», «Si, andiamo». Ma non si muovono. Cala il sipario. Godot, quella speranza che sia qualcosa di esterno a noi che risolva i nostri problemi, spesso siamo noi i primi a produrli e a non avere la forza per risolverli. Abbiamo aspettato tutti Godot, ma non sappiamo né chi sia né cosa possa fare per noi. Sappiamo soltanto che non verrà. Motta invece è arrivato, e tanti come lui si sono insediati ai posti d comando della società calcistica italiana più blasonata, ma vista la situazione attuale probabilmente non erano i tanto sperati Godot.
Cadorna, dopo la disfatta, fu sostituito dal generale Armando Diaz, e le sorti per l’Italia mutarono verso la vittoria. Qui nessuno chiede l’esonero, di scaricarsi di un peso, come l’etimo insegna. Esistono però le dimissioni volontarie, una rinuncia di propria volontà. La delicatezza di questo tipo di abbandono, la sua responsabilità, viene dipinta bene dalla grazia di questa parola, accostandosi bene al dimesso nel senso di modesto: lo rende un gesto umile, ma grandemente onorevole, una presa di coscienza, un render conto, e se pure non sempre è compassatissimo, l’immagine radicale è soave. Si sono dimessi papi quali Clemente I, Celestino V, Benedetto XVI, ognuno per motivi diversi, quindi nessuno si meraviglierebbe se la sedia papale, pardon, se la panchina cambiasse inquilino. E la società sarebbe propensa ad accettarle le dimissioni del mister? Potrebbe rifiutarle e trattenerlo, e allora mi viene in mente un aneddoto. Il diplomatico francese Talleyrand era stato ministro degli esteri nel 1797, ma aveva dovuto dimettersi due anni dopo. Quando Napoleone, dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, gli propose di affidargli ancora tale incarico, lui, ben consapevole della propria abilità, commentò: “Buon Dio, devono andare davvero male le faccende in questo momento!”
Di solito nel calcio si sa, il capro espiatorio che apparentemente paga per tutti è l’allenatore, spesso lo fa proprio di mestiere, quasi come il Benjamin Malaussène, protagonista di un ciclo di romanzi di Daniel Pennac. In questa Juventus siamo sicuri che quel qualcuno a cui è attribuita tutta la responsabilità di malefatte, errori o eventi negativi e deve subirne le conseguenze si chiami Motta? O la ricerca del capro espiatorio nella figura del mister sarebbe proprio l'atto di voler identificare irragionevolmente in una persona la causa responsabile di gravi problemi, spesso con il celato obiettivo di nascondere le vere cause o i veri colpevoli?
Intanto, mentre aspettiamo immobili il signor Godot, qualcosa bisognerà pur fare e alla svelta per evitare che ogni anno sia un inutile “anno zero”.
SIPARIO!
Roberto De Frede