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Cagliari, Deiola: "Se alla prima difficoltà sentiamo fischi, diventa dura. Ho pensato di smettere"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
ieri alle 23:08Serie A
di Alessio Del Lungo

Cagliari, Deiola: "Se alla prima difficoltà sentiamo fischi, diventa dura. Ho pensato di smettere"

Alessandro Deiola, centrocampista del Cagliari, è intervenuto ai microfoni di PodCasteddu, parlando così del match che sancì la retrocessione contro il Venezia 3 anni fa: "È un ricordo che fa male, brucia. Perché per come è andata la stagione e nonostante come fosse andata la stagione, che era una stagione disastrosa, avevi comunque la possibilità all'ultima giornata di fare qualcosa di importante, di salvare una stagione catastrofica. Con un'altra partita che stava andando bene. Con un'altra partita in contemporanea che ricorda ancora che prima della partita o prima di entrare in campo a quelli che erano in panchina era stato detto ragazzi mi raccomando non diteci il risultato perché potrebbe condizionare quello o metterci comunque ansia, frenesia, quindi non diteci nulla, lasciateci giocare tranquilli. Alla fine vediamo cos'è successo. Mi ricordo che dopo 25 minuti esce una palla vicino alla panchina nostra, incrocio lo sguardo, non mi ricordo con chi, e mi dice la Salernitana perde 3-0. Quello è il momento in cui poi siamo rientrati all'intervallo che la Salernitana perdeva 3-0. Sì, perché era proprio irrecuperabile. Quindi in tutti è nato questo desiderio di dire andiamo ragazzi dai ce la possiamo fare, manca ancora 45 minuti, loro sono già retrocessi, può succedere di tutto, continuiamo a crederci, crediamoci, tanto dipende solo da noi. Però in quel momento è stato complicato. Le gambe non rispondevano, gli episodi non ci venivano a favore, è stata una partita molto strana. Diciamo che le chiamiamo le partite dove puoi restare due ore o due giorni a tirare in porta che tanto non segni manco se si toglie il portiere e ti rigo le mani. Purtroppo era stregata e alla fine ci siamo rassegnati ed era la stagione che doveva andare così. Penso di aver pianto per una settimana, una settimana, ma poi è finito perché sono finiti tutti i liquidi dietro di me quindi non usciva più, non avevo più lacrime. Però il dolore e la sofferenza è stata veramente tanta".

Come vive le critiche eccessive?
"È stato difficile, molto difficile convivere con il paradosso che mi ha portato persino a pensare di smettere. Mi sono detto: 'Io questa pressione non la sopporto più, penso di non meritarmela', per quello che ho fatto e che faccio costantemente in campo. Perché comunque io cerco di dare tutto me stesso. Poi, naturalmente, ci sono momenti in cui ti riesce tutto e momenti in cui, purtroppo, no. Ripeto, ci sono stati momenti in cui ho pensato seriamente di smettere. Partite in cui mi sono chiuso in uno stanzino a piangere, perché fa male, fa davvero male sapere che stai dando tutto e magari da fuori non viene percepito. L’errore tecnico, sbagliare un passaggio, un gol: sono cose che succedono. È come un muratore che sbaglia a mettere un blocchetto, lo toglie e lo rimette: noi facciamo lo stesso, alla prossima azione ci riproviamo Però, ci sono tante dinamiche che cambiano tutto. Perché, secondo me, ci sono quattro modi di vedere una partita: dalla TV, dalla tribuna, dalla panchina... e poi dal campo. Il problema è proprio quest’ultimo. Perché chi la vive in campo, anziché vederla in orizzontale, la vive in verticale, con avversari e compagni che ti passano accanto a velocità folli, con scontri fisici con gente di 80-100 kg, con una velocità di pensiero e di movimento che da fuori non si percepisce".


Con i social è ancora peggio?
"Ora è diventata una tragedia. Perché ormai la gente non si limita più a commentare l’aspetto tecnico o tattico, che già lascia il tempo che trova, visto che se non sei del mestiere spesso non ha molto senso. Ciò che conta per noi è il sostegno. Alla fine della partita puoi anche dire: 'Ha giocato male', ci sta, siamo i primi a fare autocritica. Noi ci riguardiamo le partite, analizziamo le nostre azioni, sappiamo perfettamente se abbiamo giocato bene o male. Non è che non lo sappiamo. Ma quando inizi a leggere insulti alla famiglia, auguri di morte o di farti male... Lì non è più un commento. Quello è odio. E non si può far finta di niente. Io ormai ho imparato a non leggere più nulla. Non leggo più niente. Ho avuto la fortuna di avere accanto mia moglie che mi ha aiutato tanto, dicendomi: 'Fregatene, lascia perdere. Se sei arrivato lì e continui a giocare, un motivo ci sarà'. Ho avuto la fiducia di tanti allenatori, di tanti compagni. Quindi sì, la critica costruttiva la accettiamo, ma l’odio no. Non va bene. Perché siamo persone come tutte le altre, con sentimenti, che ci stanno male. E spesso questa cosa viene dimenticata. Si pensa che siccome siamo giocatori dobbiamo sopportare tutto, essere dei supereroi. Ma non è così. Vale per noi, come per qualsiasi altra persona pubblica: attori, cantanti, chiunque. Siamo persone e meritiamo rispetto, come noi portiamo rispetto agli altri. Anche perché poi, spesso, le stesse persone che ti insultano, il giorno dopo vengono a chiederti una foto o un autografo. E noi non è che non sappiamo chi ci insulta: lo sappiamo. Però, vedere un bambino che, dopo la foto, se ne va con un sorriso, ci ripaga di tutto. È motivo di orgoglio. E allora andiamo oltre. Bisognerebbe che chi insulta si mettesse nei nostri panni: magari un domani il loro figlio diventerà un calciatore e voglio vedere se accetterebbero gli stessi commenti su di lui. È una considerazione importante, perché qui non si parla più solo di calcio, ma di umanità. Noi abbiamo bisogno di sostegno. Perché anche se siamo in campo, sentiamo tutto. La positività che ci circonda ci aiuta a esprimerci meglio. Ma se alla prima difficoltà iniziamo a sentire fischi e insulti, diventa dura. È vero, ci sono giocatori caratterialmente forti che riescono a fregarsene, ma ci sono anche quelli più fragili, che subiscono tutto questo. E allora magari si limitano, hanno paura di esprimersi, di rischiare. Ed è un limite enorme per il nostro lavoro".

Ci parli della promozione in A?
"Non è stata un’annata semplicissima, eh no. Abbiamo fatto un girone d’andata discreto, diciamo, ma se non ricordo male non eravamo nemmeno nei play-off alla fine del girone d’andata. Poi, però, è iniziata una cavalcata incredibile. E questa foto mi fa venire in mente tanti aneddoti legati a quel percorso e a quello che poi è stato il risultato finale. Io, da quando abbiamo giocato la semifinale e poi la finale d’andata col Bari ho iniziato a pensare. Perché avevo già vissuto una promozione in Serie A, proprio a Bari. Quindi tutta quella settimana mi dicevo: 'Pensa un po’ il destino dove mi ha riportato'. Nel 2015, con tre giornate d’anticipo, saliamo in Serie A a Bari vincendo 3-0. E adesso mi gioco di nuovo la Serie A a Bari… era un segno. Ricordo che la sera prima della partita c’era un clima tra di noi… sembrava quasi una festa. Facciamo la riunione, solo tra di noi, e ricordo che in un corridoio iniziamo a giocare al 'gioco del soldato': uno passava in mezzo e gli altri gli davano degli schiaffi, lui doveva indovinare chi era stato. Eravamo tranquilli, sereni. Durante la riunione parliamo un po’, soprattutto noi più vecchi. E io dissi: 'Ragazzi, ho poco da dirvi. Se siamo arrivati fin qui, è inutile girarci intorno: dobbiamo prendercela. Dipende solo da noi. Abbiamo un solo risultato e deve essere quello, non importa come, ma dev’essere quello. L’unica cosa che vi posso dire è che io, nel 2015, ho vissuto una promozione in Serie A proprio in questo stadio. Per me è un segno del destino. Noi dobbiamo salire in Serie A qua. Quindi adesso andiamo a riposarci, stiamo tranquilli'. Eravamo da soli, solo noi. Il giorno dopo arriviamo allo stadio: una roba incredibile. Forse raramente, anche in Serie A, abbiamo trovato uno stadio così contro. Sembrava l’inferno. E Mister Ranieri, con una tranquillità disarmante, ci dice: 'Ragazzi, state tranquilli. Più la portiamo avanti, più si mette a favore nostro. Non preoccupatevi se all’80° siamo ancora 0-0… ci penso io'. Così, con calma. Ricordo nel tunnel: da parte loro era una festa, un casino indescrivibile. L’arbitro arriva e ci dice che c’è un ritardo di cinque minuti. Noi? Immobili. Tranquilli. Concentrati. Loro, invece, tutti nervosi, tesi. E secondo me, quando hai due risultati buoni, la pressione è doppia. In campo? Il primo tempo, se fosse finito 2-0 per noi, non ci sarebbe stato nulla da dire. Elia, il nostro portiere, ha fatto due o tre miracoli. Partitona. Nel secondo tempo loro iniziano a spingere, con lo stadio che li spingeva dietro… un’atmosfera surreale. Enorme lo stadio, 75.000 persone, una cosa fuori dal mondo. All’87° tutto lo stadio cantava già per la Serie A. Si vedevano fumogeni rossi e bianchi ovunque. Poi, all’improvviso, inizia a piovere. Sembrava impossibile. Ma davvero: pioggia dal nulla. Poi, al 94°, fa gol Pavo. Alzo lo sguardo per guardarlo, ma non potevo non notare quello che succedeva dietro: nella curva loro, i fumogeni da rossi e bianchi diventano neri. Un blackout. Silenzio. 75.000 persone zittite all’improvviso. Era come se fosse saltata la corrente. Si sentivano solo i nostri tifosi. Nessuno ci credeva, tranne noi. E Ranieri. Anzi, fino quasi alla fine del campionato non ci credeva nessuno. Poi hanno iniziato tutti, perché si vedeva che la squadra era cambiata, che la direzione era quella giusta. E i play-off? Pazzeschi. Col Parma, il recupero… quella partita mi ha fatto impazzire. Non la voglio nemmeno ricordare. Ma secondo me è stata quella a darci lo slancio finale. Ed è così che siamo andati in Serie A".