Dario Canovi, una vita con Thiago Motta: "È già da Inter o PSG". L'intervista-ritratto
Thiago Motta è tra gli allenatori più in vista del momento in Serie A e per approfondire nel miglior modo possibile la figura dell'attuale tecnico del Bologna abbiamo raggiunto in esclusiva chi lo segue da una vita, l'avvocato Dario Canovi, decano degli agenti e incaricato di gestire la carriera ai tempi in cui Motta era calciatore ma rimasto in perenne contatto con lui anche negli ultimi tempi, visto che la procura è passata nelle mani di suo figlio Alessandro. Assieme a lui abbiamo ripercorso tutte le tappe fino ad oggi: "Noi lo assistiamo da quando era al Barcellona, lui a quel tempo rifiutò un trasferimento al Milan per un sacco di soldi, gli garantivano 1,5 milioni di euro all'anno. Questo perché voleva dimostrare a loro che era un giocatore da Barcellona, poi si fece male due volte. Per un certo periodo non lo abbiamo più seguito ma ci siamo ritrovati quando è andato al Genoa".
Lì ha conosciuto anche l'Italia.
"Bisogna dire grazie a tre persone: a Enrico Preziosi, a suo figlio Matteo che ci credeva e a mio figlio Alessandro che lo portò con sé alla villa sul lago di Garda di Preziosi per convincerlo. Bronzetti aveva detto al presidente che Thiago era rotto ma chiedemmo al Genoa di farlo visitare da due ortopedici diversi ed entrambi dissero che sì, era stato operato ai legamenti, ma con certe precauzioni poteva benissimo giocare. Fu un atto di fiducia loro, con l'insistenza di mio figlio".
Giocare nell'Inter del Triplete l'ha fatto entrare nella storia del calcio italiano.
"Ricorderei quel periodo con quanto ha detto Ranieri poche settimane fa: ha perso lo Scudetto quando gli hanno dato via Thiago. Mi aveva chiesto Branca di cederlo perché Leonardo secondo lui non lo voleva, poi però andò al PSG a fare il ds e lo prese. Mi ha raccontato in seguito Leonardo che c'era stato un grosso alterco, ma siccome Thiago era uomo vero si sono chiariti, anche con una certa vivacità. Mio figlio aveva sentito Ancelotti parlare bene di lui dopo una partita di Champions, poi Carlo andò a Parigi ad allenare e a quel punto gli telefonai per chiedergli se fosse d'accordo nel prenderlo, ricevendo il suo assenso. Quindi chiamai Leonardo, che avevo assistito in Giappone, e mi disse che c'era la possibilità: ne parlò con Moratti, ma Ranieri non voleva venderlo a gennaio. Però lui voleva chiaramente andarsene, perché non andava d'accordo con Branca e con un giocatore che non ha mai amato e all'Inter aveva un certo peso. Erano venuti i medici del PSG per fare la visita, l'accordo era cederlo a giugno se non che Thiago chiama Moratti e gli chiede il favore per l'immediato. Fortuna vuole che fosse stato appena visitato, quindi facemmo un trasferimento al volo l'ultimo giorno. Partii il giorno stesso per Parigi e chiudemmo".
Che finale di carriera è stato nella capitale francese?
"Lui a Parigi non è solo popolare, è amato. Ho assistito all'ultima partita con il PSG, in cui gli è stata fatta una dedica speciale, quel giorno il Parco dei Principi era tutto per lui. È stato molto bene lì. Inizialmente, in Italia, aveva avuto un rapporto conflittuale con Ibrahimovic per colpa di uno scontro durante un Genoa-Inter. A Parigi invece il loro rapporto fu meraviglioso, erano sodali e solidali".
Proprio al PSG ha poi studiato da allenatore.
"Nella sua squadra erano tutti sotto età e di quei giocatori lì ora c'è chi gioca al Milan, al Bayern... Più della metà si trovano in prime divisioni. E iniziò già allora una delle sue grandi virtù, saper cambiare ruolo ai calciatori, vedere in alcuni certe caratteristiche che si adattano meglio ad altre posizioni".
Al Genoa si fece subito notare per idee, visione tattica. Come si posiziona questa esperienza nella sua carriera?
"Il suo concetto base come allenatore è che chi dimostra di meritare negli allenamenti gioca. Per quello spesso tocca ai giovani, gli fanno vedere di essere più pronti anche rispetto agli affermati. Rovella, per esempio, ha esordito con lui. Questo è successo sia al Genoa che allo Spezia che infine ora a Bologna, dove ha fatto esordire Raimondo e cambiato ruolo a Posch e Ferguson. Ha sempre capito che Genova è stata un'esperienza indispensabile per lui. E tenete presente che quando è andato via ha rinunciato a tutti gli emolumenti, partendo dal presupposto che prende i soldi solo se e quando lavora. Così anche a La Spezia, dove ha solo preteso che fossero pagati collaboratori e agenti prima di andarsene. Con Preziosi è rimasto in grandi rapporti e ancora adesso dice che secondo lui è un predestinato, che arriverà ai grandissimi livelli. Non ha trovato un ambiente del tutto favorevole, non parlo dei giocatori. Non c'era intesa con l'area tecnica...".
Allo Spezia non ha fatto rimpiangere Italiano.
"La squadra che Thiago ha ereditato non era la stessa, i migliori secondo noi erano stati ceduti. E non ha fatto la preparazione, perché molti hanno avuto il Covid, è un presupposto importante da cui partire: non solo la squadra più debole, ma anche un mese di ritardo. Per fortuna una clausola per cui l'esonero pre-31 dicembre comportava una penale: il ds Pecini pensava già di esonerarlo dopo Napoli. Aveva contattato cinque-sei allenatori italiani, da Nicola a Giampaolo fino a Oddo. Era sicuro che avremmo perso a Napoli, ma quel giorno i giocatori hanno dimostrato con chi stavano. Non solo vinsero, ma Thiago tenne dentro gli undici che erano partiti. E non per sfiducia verso gli altri, ma per dimostrare qualcosa a chi aveva giocato per lui. Tatticamente fu perfetto, lo dice Ulivieri e non io. L'abbraccio a fine partita parla chiaro, da lì la fine di campionato ha portato a una salvezza tranquillissima nonostante arbitraggi assurdi come quello di Pairetto contro la Lazio (gol di Acerbi, ndr)".
Ma è vero che con Nzola ha avuto dei problemi? E in che misura, di che tipo?
"Non era una questione personale, Thiago è uno che pretende massima serietà nel campo di allenamento e l'impegno. Diciamo che Nzola non era proprio un esempio da questo punto di vista tra ritardi e varie cose... Parliamo della punta più importante dello Spezia, ma con Thiago si comincia sempre da lui che ti dice che che il posto assicurato non esiste. Ufficialmente appare uno disponibile, gentile e cortese e lo è, ma è anche uno che se si tratta di mostrare i denti lo fa eccome. Anche con altri giocatori dello Spezia ha avuto discussioni all'inizio, un paio, non di più. Ma poi erano quelli che a fine campionato, quando erano salvi, l'hanno abbracciato di più. Guardate Verde: all'inizio i rapporti non erano idilliaci poi è diventato un fedelissimo. A La Spezia il grande problema è stato solo con il direttore sportivo. A fine campionato c'è stata una risoluzione di fatto tacita, né Pecini voleva che Thiago rimanesse né viceversa. E niente emolumenti dell'anno successivo, per ribadirlo. Non c'è stato neanche bisogno di parlare, l'addio era implicito".
Si è salvato a Napoli come Gasperini. Quanto è stato importante per lui come figura?
"Tra i suoi allenatori di riferimento c'è ovviamente Piero. E dire che all'inizio non furono rose e fiori. Io ho seguito Gasperini come giocatore a Pescara e l'ho portato a Genova per poi consigliarlo a Moggi per gli Allievi della Juventus. Lo conosco come le mie tasche e posso dire che all'inizio non lo vedeva bene, pensava fosse rotto. La fortuna fu in un Genoa-Siena, si fece male Milanetto e Piero buttò dentro Motta. La sua fu una prestazione super e tra l'altro il presidente senese Giovanni Stronati, al quale l'avevo proposto tempo prima, mi disse che forse doveva ascoltare più me che il suo direttore sportivo. Nelle sue interviste comunque Thiago ha sempre detto quanto Gasperini gli abbia insegnato, anche a fronte di grandissimi altri allenatori che lui ha avuto un po' ovunque".
A Bologna sta puntando l'Europa per la prima volta da allenatore, restituendo vigore a tanti giocatori.
"Quando lui è arrivato ha trovato un ambiente, intendo proprio l'aria intorno al Bologna, che non l'ha visto di buon occhio. È stato preso come un usurpatore, ma tenete presente che i dirigenti rossoblu l'hanno interpellato quando Mihajlovic era ancora allenatore, e lui disse no: avete un tecnico. La sua è un'abitudine, parla con le società solo se hanno la panchina libera e lo stesso è capitato col Bologna. Fu chiarissimo anche con mio figlio Alessandro, sin dal primo giorno. La prima partita è stata persa e subito è stato contestato, dei tifosi sono arrivati addirittura vicino agli spogliatoi, lui è uscito e si è messo a parlare con loro. Lo stesso è successo alla prima sconfitta interna, i tifosi l'hanno aspettato fuori, non lo sapeva e ci si è fermato. Il suo inizio è stato difficile, ma con i giocatori non ha mai avuto problemi di nessun tipo. Neanche con la società, che gli ha sempre dato appoggio manifesto. Una delle doti migliori per un allenatore è la sincerità, assieme alla coerenza. Chi merita gioca, chi non merita no. E può essere chiunque, anche il Padreterno. Soriano, Sansone, Orsolini: questi tre hanno visto crescere notevolmente il loro rendimento. Avete notato cosa risponde alle domande su Orsolini? Che ha fatto bene ma può fare meglio. Ha le doti e le qualità per migliorare, è contento ma sa che può rendere di più".
Credibile che un Orsolini così stuzzichi la fantasia di Mancini per l'azzurro?
"Per me è credibile vederlo in nazionale, assolutamente. Non difetta in qualità, gli mancavano casomai la dedizione nell'allenamento e la continuità di rendimento, con Thiago le sta trovando. Chi in quel ruolo ha fatto meglio di lui in Italia nelle ultime cinque-sei partite? Guardate che gol fa alla Sampdoria e all'Inter, la prestazione a Firenze. A proposito di quella partita, sentite questa...".
Prego.
"Sarri un paio di giorni fa a DAZN era in collegamento con Di Vaio e si è complimentato perché hanno preso un grande allenatore. Una persona che non rivelerò mi ha raccontato che uno dei più grandi allenatori del calcio italiano va in giro a dire che a Firenze la partita l'ha vinta Thiago Motta, che ha incartato Italiano col centrocampo. Pensavo a Capello o a Sacchi, ma dopo quello che ho sentito l'altro giorno mi è venuto il sospetto sia Sarri. I risultati sono la dimostrazione dell'allenatore che è, dietro di sé c'è tutta la sua squadra o quasi".
Si parla dell'Inter, è pronto oggi per una squadra del genere? Pensa che il suo futuro sarà lì?
"Lo vedo assolutamente pronto per una grande squadra. Per me è un allenatore da big e gli ho sempre detto di arrivare dove avrebbe potuto, in alto: ha le doti necessarie, è il giocatore più intelligente che io abbia mai assistito. E come tutti gli intelligenti ha umiltà ed è pieno di dubbi, per questo sa modificare. La sua unica certezza nel calcio è che il lavoro paga. Con i grandi campioni non avrebbe problemi perché questi solitamente sono intelligenti. Magari li può avere con quelli presunti... Ibrahimovic è il primo ad arrivare agli allenamenti e l'ultimo ad andarsene, ne sono certo. Ho assistito campioni del mondo e medagliati olimpici, non ce n'è uno che sia presuntuoso tra questi. Il grande atleta e poi allenatore è quello che arriva ai risultati col lavoro. Oggi all'Inter non andrebbe perché c'è Inzaghi, tra sei mesi chi lo sa? Dire che sia un no a priori è una bugia ma ora parlare di altre squadre non ha senso, a Bologna sta bene, è convinto di poter fare ancora un grande lavoro".
Cosa ha significato per lei passare tutti questi anni al suo fianco?
"Lui ha un fratello e una sorella naturali più uno acquisito che è mio figlio Alessandro. Non sono agente ed allenatore, sono di più. Quando Thiago giocava a Parigi, Alessandro era più con lui che con la famiglia. Con Motta ho lo ius primae noctis! Io ho 83 anni e gliel'ho detto, fammelo vedere che arrivi dove io penso tu possa. Può allenare ogni grandissima: Inter, Milan, Juventus, PSG... Non sono l'unico a pensarlo, l'anno scorso e due anni fa è stato a un pelo dall'allenare il PSG. Il presidente sa che cosa vale Thiago... Quest'estate è uscito sui giornali, andate a rivedere. Era vero, lo voleva Al Khelaifi. E fidatevi, non sarebbe stato troppo presto: del Paris Saint-Germain conosce il dentro e il fuori. Tutto".