
Tudor e la semplicità del calcio
Il calcio forse è davvero una cosa semplice, lo diceva pure quell’allenatore livornese che ha guidato la Juventus vincendo “semplicemente” cinque scudetti, cinque coppe Italia, due supercoppe italiane e avendo fatto sempre una gran bella figura in Europa. Per molti pare sia complicato anche nominare il suo nome, per me no, è una cosa molto semplice, si chiama Massimiliano Allegri, ma l’avevate capito. Poi è arrivato Motta, il contrario di Max, una inutile complicazione del gioco del calcio, con le intuibili e semplici conseguenze: fallimento e esonero. Ed infine, Tudor il quale ha riportato finalmente la semplicità sul rettangolo verde. Far fronte alla complessità attraverso la semplicità è l'arte dello stratega vincente. La storia di Davide e Golia dovrebbe essere sempre tenuta a modello, come obiettivo ideale.
L’etimo dal latino simplex è composto dalla radice sem (uno solo) e da quella di plectere (piegare): piegato una sola volta. Quindi il semplice non è un origami, piegato mille volte in maniera studiata, bensì qualcosa di piegato una sola volta. Ma perché l’immagine fondamentale dovrebbe essere quella del “piegato una volta sola” e non invece quella dell’apparente più logico “non piegato”? L’immagine della piega singola è molto eloquente: il semplice non è un quid di già squadernato, palese, che si capisce da sé, senza alcuno sforzo. Il semplice è qualcosa che non è difficile da aprire alla propria conoscenza, ma che appunto va aperto.
Tudor, come il suo calcio, è una persona semplice: non è difficile da conoscere, non nasconde doppi fini, non cela ombre. Questo non vuol dire che sia un foglio di carta bianca, o un personaggio stereotipato su cui si può fare a meno di riflettere, semplicemente (appunto) non è una persona tortuosa, composta da cento involuzioni. Un messaggio semplice è pronto alla comprensione, ma è pronto alla comprensione di chi lo vuole intendere. Attenzione, semplice non è affatto sinonimo di scontato, ordinario, facile, non ragionato o sciocco!
Nello Zibaldone Leopardi si sofferma su uno dei temi fondamentali della sua riflessione, proprio la semplicità. Concetto, apparentemente lineare, in realtà profondamente relativo e legato alle abitudini e alla percezione culturale degli individui e delle epoche. Il poeta sottolinea che ciò che ci appare semplice spesso coincide con ciò a cui siamo abituati, mentre qualcosa di sconosciuto o straordinario può sembrarci complesso, anche se intrinsecamente più naturale o immediato. La semplicità non è un concetto assoluto, bensì relativo: una qualità o una forma ci appaiono semplici perché si conformano a ciò che conosciamo, alle nostre abitudini e consuetudini culturali. In altre parole, ciò che definiamo “semplice” è spesso solo ciò che è ordinario o familiare. Questa concezione smonta l’idea che la semplicità sia una qualità intrinseca delle cose; piuttosto, è un’impressione costruita dalla mente umana sulla base delle proprie esperienze.
L’idea che “il semplice in gran parte non è che l’ordinario” introduce un paradosso significativo: più un elemento è comune e consueto, più ci sembrerà semplice. Tuttavia, questo legame tra semplicità e ordinarietà rivela una contraddizione: ciò che è straordinario, pur potendo essere intrinsecamente semplice, appare complicato solo perché esce dall’ordinario. Leopardi ci invita a riflettere su quanto le nostre definizioni di semplicità e complessità siano condizionate dai nostri limiti percettivi. La semplicità, quindi, non è mai assoluta, ma sempre relativa ai nostri contesti culturali, alle nostre esperienze e alle nostre aspettative.
Gli antichi greci celebravano un’idea di semplicità spesso collegata alla misura, all’armonia e al rispetto delle proporzioni naturali. Il pensiero leopardiano ci invita a interrogarci sui nostri giudizi e preconcetti. La semplicità non è un valore immutabile o intrinseco, ma una costruzione che cambia con il tempo, lo spazio e l’abitudine. Riconoscere la relatività di ciò che percepiamo come semplice o naturale può aiutarci ad aprirci a nuove esperienze e a nuove interpretazioni del mondo che ci circonda. Una persona semplice non si lascia rallentare dalle cose che possiede: nulla potrebbe ostacolare la sua corsa verso l’immensità, perché la vera forza di volontà risiede nella semplicità.
Questa riflessione ci pone davanti a una verità scomoda ma liberatoria: la semplicità non è tanto una qualità delle cose, quanto una qualità del nostro sguardo. Ed è proprio in questa relatività che risiede la sua infinita ricchezza. Forse è in questo senso che è da rivalutare l’apprezzamento delle “cose semplici”, come è uso dire, siano esse piaceri, sentimenti, abitudini: per esercitare la comprensione, per intendere il segreto delle pieghe del mondo. La semplicità, spesso vincente, è mettere il portiere in porta, i terzini alla destra e alla sinistra dei due difensori centrali, il regista in mezzo al campo, le ali davanti in attacco ai fianchi del centravanti, non tralasciando un piccolo e semplice particolare: un allenatore semplice fa sempre giocare i suoi calciatori nei loro ruoli naturali. Uno è stato Marcello Lippi, tanto per restare in Toscana, e se non erro qualcosa ha vinto (ma aveva tanti campioni che oggi Tudor purtroppo se li sogna…).
Già, fantasticavamo sulla semplicità: se non sai aprire un foglio piegato a metà non potrai mai capire come si fa un origami.
Roberto De Frede







