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Un furto inestimabile. Aprite quelle porte alla sicurezza del cittadino!TUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Un furto inestimabile. Aprite quelle porte alla sicurezza del cittadino!

“Spesso è più sicuro essere in catene che liberi.” Franz Kafka

Genoa-Juventus, stadio Luigi Ferraris, a porte chiuse. Che tristezza! Servisse almeno a qualcosa! Il bollettino recita: per ordine pubblico, visti i tafferugli durante il derby della Lanterna di Coppa Italia.

Se da una parte la sicurezza è la libertà di non avere paura, dall’altra talvolta rischiamo di imbrigliarla con misure ridondanti e pedisseque, al punto che, riprendendo il pensiero del filosofo Norberto Bobbio, potremmo dire che sia meglio una sicurezza sempre in pericolo ma espansiva, piuttosto che una sicurezza protetta ma incapace di svilupparsi. Solo la sicurezza in pericolo è capace di rinnovarsi. Una sicurezza incapace di rinnovarsi si trasforma presto o tardi in una nuova schiavitù. Una visione drammatica ma che spesso si avvicina alla cruda realtà.

Se dopo anni passati a dirimere l'insicurezza dilagante con l'effimera e cagionevole sicurezza, potremo finalmente dire di aver compreso l'equilibrio instabile e mutevole nel quale dobbiamo giocoforza muoverci nella società cosiddetta civile, non dovrebbe sorprenderci la magistrale e illuminante risposta che Marco Polo dà al Kublai Kan quando questi, nel libro 'Le città invisibili' di Italo Calvino, gli chiede verso quale futuro ci spingono i venti propizi: «Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che da lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t’ho detto».

Gli applausi, le grida di incitamento rivolte ai propri beniamini, i canti corali, la musica, gli striscioni, le trasferte al seguito della squadra: forme attraverso le quali si esprime la passione sportiva. Ieri pomeriggio al Ferraris solo una lontanissima immaginaria eco di tutto questo. Per ordine pubblico, per colpa di incivili travestiti da amanti del calcio, nessuno potrà dire un domani “io c’ero”, quando la Juventus in un tardo pomeriggio d’autunno espugnò al Ferraris i rossoblù, grazie alla doppietta del suo redivivo centravanti serbo e di un gol di un folletto portoghese. Un furto inestimabile subito da quei tifosi “respinti”, derubati delle emozioni che mai nessuno potrà loro restituire.  

Come non è possibile concepire una religione senza templi, cioè senza luoghi di culto dove i fedeli possano riunirsi, incontrarsi, pregare e celebrare i propri riti, così non è possibile il tifo senza lo stadio e lo stadio senza tifo. Alla dedizione appassionata che il tifo comporta non bastano, infatti, il giornale, la radio, la televisione, il bar e i social. Nemmeno la strada o la piazza dove pure, di quando in quando, può riversarsi l'eccitazione collettiva per festeggiare una vittoria o piangere una sconfitta. All’interno dello stadio, nel suo spazio diventato sacro si celebrano i riti della moderna religione dello sport di cui gli atleti sono gli officianti e le divinità al tempo stesso, circondati dalla passione del pubblico di fedeli che li adora. «Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». Con queste parole Pier Paolo Pasolini, intervistato da Guido Gerosa per il settimanale L’Europeo del 31 dicembre 1970, spiegava la sua passione viscerale per il calcio, a cui si sarebbe dedicato completamente se non ci fossero stati al primo posto, nella sua vita, scrittura e cinema.

Non è un caso che a Bilbao, terra passionale, l’impianto dell'Athletic sia stato costruito sulla collina dove sorgeva una chiesa cattolica e dedicato al beato martire San Mamés. Del resto non c'è cosa più triste di un match che, benché ripreso e trasmesso da cento telecamere, si svolga dinnanzi a una tribuna vuota e muta. Ahimè il ricordo delle restrizioni dei mesi segnati dalle misure anticovid suggeriscono molte cautele nel considerare probanti i confronti e i risultati di partite disputate senza il contatto ravvicinato del pubblico, in una sorta di virtualità da videogioco.

 “D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”, spiega sempre Marco Polo al Kublai Kahn. Oggi che lo sport è appunto spettacolo di massa, la massa può cercare e trovare nello stadio quella risposta. Un monumento che esprime appartenenza, identità, memoria quando è avvolto dalla passione dei tifosi. Per ordine pubblico tutto questo non c’è stato; ma per non scalfire valori, tradizioni e emozioni, per ordine morale, forse sarebbe meglio estirpare alla radice il male, senza far pagare il famoso conto del peccatore al giusto, come ricorda José Rizal nel suo romanzo Noli me tangere.

Roberto De Frede