
Quando il gioco si fa duro. Devastante Gudmundsson, e il meglio deve ancora venire
È stata una settimana da incorniciare per Albert Gudmundsson. Gol al Maradona, replica col Panathinaikos e tris con la Juventus, nell’appuntamento più atteso. In mezzo a una miriade di motivi per guardare con sorriso al futuro, sicuramente per Raffaele Palladino c’è il crescendo dell’islandese, mai come in questi sette giorni un fattore decisivo per la Fiorentina.
Vicino al top della forma
Da Napoli al Franchi, quando squadra e allenatore erano chiamati ad uscire da un momento difficilissimo, l’ex Genoa ha messo in mostra tutto il suo repertorio in una settimana non banale: stop e carezza a giro contro Meret, percussione e rasoiata (con un pizzico di fortuna) all’ex Dragowski, pochi passi e staffilata all’angolino di Di Gregorio. Se è vero che i giocatori forti si vedono nei momenti decisivi, Gudmundsson ha scelto come meglio non poteva il periodo in cui accendersi. Dopo una prima metà di stagione in cui è più o meno sempre stato a guardare - eccezion fatta per le reti a Lazio e Milan in casa, determinanti certo ma pur sempre due sole gare in mezza annata -, il numero 10 ha scelto di vestirsi da numero 10, non solo per estro e fantasia indiscutibilmente riconosciutegli ma anche per incisività, quella che gli si chiedeva dall’estate.
Il meglio deve ancora venire
Perché i grandi giocatori, quelli che per cui si paga il prezzo del biglietto, come dicono molti allenatori vanno lasciati liberi di svariare, mandandoli in campo senza dettami tattici da seguire o imbrigliandoli in schemi che li possano limitare. È quel che ha fatto anche Palladino con Gudmundsson: “Sì perché Albert ha bisogno di questo e noi abbiamo bisogno di lui. Lui deve sentire la posizione in campo”, risponde il tecnico dopo il successo sul Panathinaikos a precisa domanda “rivedremo Gudmundsson in questa posizione libera?”. A questa fiducia mai mancata e a questa libertà di agire, si è sommata sicuramente una condizione ritrovata velocemente dopo lo stop col Como e la voglia matta di riprendersi ciò che gli è stato tolto per mesi. Risposta, tre gol in una settimana (quando siamo nel periodo decisivo dell’anno), quattro nell’ultimo mese e mezzo. Vale a dire che la metà delle reti in stagione dell’islandese - otto in totale - sono arrivate da febbraio in poi (dal match col Genoa). Una rondine non fa primavera, si dice spesso, “il meglio deve ancora venire” cantava Ligabue: non cambia la sostanza, perché Gudmundsson in primis sa che quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. L’ha già fatto, e chi ben comincia...







