ESCLUSIVA TC - ORESTE LAMAGNI: "La mia vita al Cagliari, tra amarezze e trionfi. Il ricordo più bello è la promozione in A del 1979, col Sant'Elia stracolmo contro la Sampdoria. Cosa cancellerei? L'arancia tirata a Cannito che ci costò la serie A"
Ha speso (quasi) tutta la sua carriera in riva al Poetto, tenendo alto l’orgoglio dei quattro mori. A parte una breve parentesi a Empoli e una sola stagione in forza alla Torres, ha consacrato al Cagliari una vita calcistica avventurosa e romanzesca, ricca di alti e di bassi, vissuta sulle montagne russe. Ha conosciuto l’amarezza della retrocessione in serie B, la rabbia per la sconfitta a tavolino contro il Lecce costata – di fatto – l’immediato ritorno in serie A, la gioia incontenibile per l’esaltante promozione del 1979 e i brividi della cavalcata irresistibile in massima divisione di una banda sfacciata e garibaldina, capace – nei primi anni Ottanta – di centrare un settimo e un sesto posto consecutivi. Dalle acque limacciose della cadetteria alle soglie dell’eldorado europeo.
Oreste Lamagni, perno inamovibile della difesa cagliaritana, racconta con lucidità e con un pizzico di nostalgia la sua lunghissima avventura in terra sarda. Nelle sue parole si ritrovano la concretezza e il sano pragmatismo che lo contraddistinguevano in campo, con le scarpette chiodate ai piedi.
Oreste, lei arrivò a Cagliari nel 1970, subito dopo lo scudetto vinto dall’armata guidata da Manlio Scopigno.
“Avevo 18 anni. Fui aggregato alla squadra Primavera, con la quale scendevo in campo ogni domenica. Poi al mercoledì giocavo nel campionato De Martino: un torneo riservato ai calciatori che solitamente non venivano impiegati nelle loro squadre di appartenenza, e che di conseguenza per tenersi in forma partecipavano, appunto, al De Martino.
Il mio esordio con la maglia del Cagliari in serie A risale al 1971.”
Che impressione le fece la Sardegna all’epoca, quando sbarcò nell’Isola per la prima volta?
“Se devo essere sincero, credevo che la società rossoblù fosse più organizzata. Le strutture erano piuttosto scadenti, e anche i campi di allenamento lasciavano alquanto a desiderare. Ci allenavamo alle Saline, su un campo in terra battuta arido, duro e secco: in quelle condizioni facevi fatica a calcolare e a prevedere i rimbalzi del pallone. Giocavi male e con difficoltà, ecco.”
Poi però lei, fatte salve le fugaci parentesi a Empoli e a Sassari, è rimasto a Cagliari per tantissimi anni, fino al 1985. Tracciando un bilancio di un’esperienza così duratura, quale stagione tra le numerose vissute nell’Isola ricorda con più piacere e quale, invece, se potesse cancellerebbe dalla sua memoria?
“La stagione che mi porto ancora nel cuore è quella in cui risalimmo in serie A, con Tiddia allenatore. Campionato 1978-’79. Mi è rimasta scolpita nella memoria l’ultima gara interna con la Sampdoria: impossibile dimenticare il Sant’Elia straripante di tifosi, gremito in ogni ordine di posti, a un’ora e mezzo dall’inizio della partita. Quel tifo indiavolato ci trascinò letteralmente in campo: giocammo benissimo, vincemmo nettamente e tornammo in serie A.
Il ricordo negativo è senz’altro legato all’episodio della famosa arancia tirata da un nostro tifoso a un giocatore del Lecce, che ci costò la sconfitta a tavolino con i pugliesi. Con quei due punti, che sul campo avevamo meritatamente conquistato, noi avremmo certificato il ritorno diretto in serie A. Fu un’enorme delusione, che ci tagliò le gambe. Infatti poi perdemmo gli spareggi per la promozione.”
Che ricordo ha della squadra che, nei primissimi anni Ottanta, divertiva i tifosi e andava su tutti i campi d’Italia - anche sui più blasonati - a giocarsela alla pari contro chiunque? Qual era il grande segreto di quel Cagliari?
“Quando hai il morale molto alto e le cose girano come vorresti, giochi anche meglio. In quegli anni non avevamo particolari stress o pressioni, perché galleggiavamo sempre in una posizione di classifica più che tranquilla. Dunque non conoscevamo né l’ansia di dover vincere a tutti i costi né la paura di perdere e di restare invischiati nei bassifondi della graduatoria. Ci esprimevamo a mente libera, con serenità ed entusiasmo. Quello era il nostro vero segreto.”
Oreste, lei continua tuttora a seguire il Cagliari?
“Sono sempre contento di vedere il Cagliari in serie A. Oggigiorno ci sono tante compagini superiori ai rossoblù, per cui quando riesci a conservare la categoria hai fatto il tuo buon campionato. So che i tifosi vorrebbero qualcosa in più di una semplice salvezza, ma purtroppo è difficile per la società prendere i giocatori migliori, che sono già accasati altrove. Ragion per cui bisogna anche, con sano spirito realista, accontentarsi di quel che si ha.”