Da 0 a 10: ADL col regalo da 70 mln, Conte asfalta Gasp e Kvara, Motta ridicolizzato e il sacrificio leggendario di Simeone
Zero alla carità cristiana di Chiffi che spunta solo a maglie alterne. Consente ai bianconeri di picchiare, strattonare, provare in qualche modo ad intimidire. Cambiaso prova un numero di trasformismo con la maglia di Politano alla Brachetti e solo allora tira fuori un cartellino giallo, avendo graziato in precedente, in maniera sorprendente, Nico Gonzalez per fallo su Anguissa al limite e Thuram che scalciava sempre su Frank. Le ammonizioni incidono molto sul flusso di un match e non è accettabile che alcuni arbitri decidano di ignorare il regolamento in base ai loro umori.
Uno l’assist, che è una delizia, ma diventa quasi un aspetto marginale di una bellezza che va contemplata nella sua irresistibile complessità. Politano si siede sulla panchina della partita, poggia le mani sulle gambe come Forrest Gump e serve un cioccolatino ad Anguissa, che invece sa bene quello che gli capita e come farne buon uso. Ma non solo. Matteo è dovunque, ovunque, comunque. È acqua che scorre, che non si contiene, che non si arrende se trova davanti una diga e trova altre strade per fluire. Al minuto 81’, dopo l’ennesima copertura difensiva, crolla al suolo e si merita il boato di non so quanti milioni di napoletani sparsi nel mondo. Monumentale.
Due in ballottaggio ma ADL non vuole farsi prendere per il collo. Garnacho o Adeyemi, Adeyemi o Garnacho: questo è il grande dubbio, come Amleto che si interroga su quale strada prendere. Aurelio però fesso non è, sa bene che al tavolo da poker ora tutti pensano che sia lui il pollo da spennare, con 75 milioni cash in tasca ed una voglia matta di regalare a Conte un rinforzo scudetto. Come sempre, in questi casi, è il tempismo a decretare chi sarà il vincitore. E chi il pollo. De Laurentiis attende, convinto di avere tra le mani le carte vincenti.
Tre bombette di un Conte che ne ha per tutti. Rivendica la sudditanza di una certa stampa del nord, sottolinea la narrazione distorta, stuzzica Gasperini per ‘le lacrime’ dopo le tre pere che gli ha rifiato a domicilio e asfalta Thiago Motta che aveva parlato di un Napoli che gioca solo in contropiede. Infine chiude il discorso Kvara, spostando la delusione sul piano umano: “Mi è dispiaciuto leggere che trattavano da mesi col Psg”. In questo momento ha un controllo assoluto della piazza, delle nostre vite, dei nostri cervelli. Se si mettesse davanti ad un microfono dicendo che i friarielli non stanno bene abbinati con la salsiccia, potrebbe pure convincerci. Facci quello che vuoi Tonino.
Quattro i cambi: Gilmour, Simeone, Ngonge e Mazzocchi giocano una manciata di secondi, potrebbero essere scontenti, magari svogliati, desiderosi di maggiore spazio. E invece pare di vedere i quattro cavalieri dell’Apocalisse, pronti a mettere a ferro e fuoco l’universo intero. Conte ha seminato nelle loro teste un’idea, l’ha innaffiata con la cura e la sapienza di chi sa attendere l’arrivo dei frutti. Ed ora se li gode, anche per poco tempo, ma il tempo è solo un’opinione, un modo per raccontare attimi di eterno.
Cinque i gol di Anguissa, la cosa più dominante che si muove tra i campi della Serie A. Non c’è una porzione di erba, di vita, di pensiero, di ossigeno, in cui Frank non vada ad incidere col suo corpo. Le sue trecce sono quelle di Medusa, che pietrifica al solo sguardo gli avversari. La sua potenza non è mai un esercizio fine a se stesso, è sempre orientata a far accadere cose belle per chi indossa la sua stessa maglia. Definirlo centrocampista sarebbe davvero riduttivo: è uno e trino, ubiquo al punto da pensare che abbia imparato la tecnica del trasporto umano da Nicolas Tesla dal film ‘The Prestige’. Per Daniele. Con Daniele. Spinto dalla forza di Daniele. Da due mesi è un uomo in missione per conto di Dio.
Sei minuti in campo e l’erba bruciata dietro ai suoi passi. L’immagine è già leggenda, da tramandare ai posteri: Simeone che si lancia in tuffo, di testa, come fosse un Matsugoro di Sampei che sbuca dalla sabbia o Aldo che segna nella mitica partita di Tre uomini e una gamba. Motivo? Contendere un pallone sulla trequarti della Juve. Pasolini si chiedeva “Qual è la vera vittoria, quella che fa battere le mani o battere i cuori?”. La risposta a me pare scontata, e se non vi batte forte il cuore per uno così, il vostro cuore non batterà mai. Nella meravigliosa fisarmonica del tempo, mi pare di poterti vedere Giovanni, appiccicato ai ricordi di chi ha amato quella maglia come pochi altri. Un amore che sarà per sempre ricambiato. "Al cor gentil rempaira sempre amore".
Sette vittorie consecutive. Senza il miglior difensore, Buongiorno. Senza il miglior attaccante, Kvara. Con gli infortuni di Olivera nel mezzo, Spinazzola ripescato mentre era già in aeroporto a fare il check-in per andare altrove, un super Juan Jesus che pareva prossimo al pensionamento . Quantificare l’impresa sportiva delle ultime settimane è davvero complesso, con tutti i motivi per lasciarsi cadere al tappeto, questa squadra si è piazzata al centro del ring, come fosse un albero che ci insegna che si può coltivare qualsiasi seme, ma nessuno dà frutti migliori della speranza. Ha preso qualche pugno, poi ha iniziato a darne. Senza mai oscillare. Fieri, come un albero. Che ha trovato altri alberi. E si è fatto foresta.
Otto al capolavoro di Meret, che sovverte le leggi dall’universo che portavano il suo corpo altrove e riesce ad opporsi al presuntuoso Yildiz, già pronto ad esultare. È l’ennesimo, l’ennesimo, l’ennesimo, scritto tre volte così ci capiamo, intervento prodigioso in questa stagione di Alex. Quella della consacrazione definitiva, se mai ne avesse bisogno uno che due anni ha vinto lo scudetto. C’è il suo marchio in tante vittorie stagionali, la sua capacità di andare oltre l’ordinario quando è piazzato tra quei pali che custodisce con lo stessa fame con cui Fantozzi osservava le polpette durante la forzata dieta. Aveva ragione Churchill: “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. È un Meret in continua tensione evolutiva.
Nove reti in campionato e nove le partite decise con un suo gol o da un suo assist. Ha atteso, sapientemente, ha lavorato, alacremente, poi è sbocciato. Dal tempo delle mele, al tempo di Romelu: suona la musica di Richard Sanderson nelle orecchie, il centravanti ora più che mai è Reality. Lukaku ha dovuto metabolizzare le nuove dinamiche, ma la sua reazione alle critiche iniziali dimostra che c’è sostanza oltre alla forma. “Se non cambiasse mai nulla, non ci sarebbero le farfalle”. E ieri svolazzavano nello stomaco dei tifosi del Napoli quando guardava fisso negli occhi Di Gregorio mentre lo mandava al bar dagli undici metri. Tutti in fila per le Scuse a Big Rom Lukaku.
Dieci tiri a zero: il secondo tempo di Napoli-Juve andrebbe trasmesso esclusivamente su Youporn. Thiago Motta va più in difficoltà di un Tronista di Maria De Filippi alle prese con la declinazione del verbo cuocere al passato remoto, Conte gli impartisce una lectio magistralis di natura tattica e motivazionale. In 22 gare ha 53 punti, gli stessi raccolti in TUTTO lo scorso campionato. Il suo è un Napoli feroce, mosso da una cattiveria agonistica che ti rapisce l’anima. Ha aggiunto un pezzo alla volta, non s’è fatto dominare dal tempo ma è stato lui a dominarlo. Senza fretta, ha ricostruito la solidità difensiva, poi ci ha aggiunto una fase offensiva che esalta il valore di quegli uomini pronti a buttarsi nel fuoco per lui. Antonio Conte è un Fenomeno. E logora chi non ce l’ha.