Clemente di San Luca a TN: "Stare, o no, con Conte, vi spiego perchè è un falso problema"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento di casa Napoli:
Con gli auguri più affettuosi a tutti i veri tifosi azzurri, quattro spunti di riflessione ‘natalizia’. Divisi in due parti.
1. Il persistente rischio di juventinizzazione. Come ogni autentico ‘malato’ napoletano, domenica (prima alle 15 e poi alle 18) e lunedì (prima alle 18 e poi alle 20,45) scorsi mi sono sistemato dinanzi alla TV (rigorosamente indossando una polo azzurra) sperando in Lecce, Empoli, Udinese e Como. È andata bene solo per i friulani, purtroppo. Ma le partite hanno dimostrato che le speranze non erano campate in aria. Questo per spiegare ancora una volta – visto che si finge di non capire – che un conto è la passione tifosa, altro è conservare capacità di discernimento. Confondere la dissenting opinion con l’augurarsi che il Napoli perda pur di veder riconosciute le proprie ragioni, è cosa ignobile e spregevole. E pure scellerata, perché abbandonare del tutto la ragione, per inseguire le seduzioni della passione, può sfociare in pericoloso autolesionismo.
Questo, dunque, il primo spunto. A parole tutti sproloquiano di libertà e democrazia. Nei fatti, invece, (quasi) tutti sono proni dinanzi al padrone di turno. A connotare, senza discussioni, un ordinamento liberaldemocratico è la garanzia di poter esprimere il dissenso. Beh, oggi non se ne parla proprio. Non solo per quanto riguarda il sistema politico (basti guardare al glorioso quotidiano cittadino, trasformatosi nell’ennesimo organo di propaganda del Governo). Ma persino nel pallone: gli spazi per le voci non omologate sono sempre più circoscritti. L’ordine – non dichiarato – è silenziarle. Certo, per farlo rispettare non si usano più manganello e olio di ricino. Nell’attuale si opera in maniera più sofisticata. Disponendo dei mezzi di comunicazione, semplicemente, si ‘costruisce’ il mainstream con un racconto edulcorato, e perfino contraffatto, della realtà. Per fortuna c’è tuttonapoli.net, una delle poche isole rimaste incontaminate. Qui ancora posso pure fare la cassandra. Rischiando di passare per iettatore, ma a torto, perché ragionare e ammonire sui rischi che si possono correre, non vuol dire affatto augurarsi un triste futuro. Anzi.
Facciamo un esempio sul tifo «identitario», così caro al mitico Carletto Alvino, non solo a me. Quando ad un interlocutore si dà dello «juventino», dell’attributo – forse anche un po’ inconsapevolmente – si sottintendono due possibili accezioni. Entrambe negative, ma diverse. Con la prima si allude al suo tifare per una delle tre ‘strisciate’, avversarie storiche e simbolo del potere del nord, intriso di pregiudizi ideologici razzisti.
Con la seconda, più profonda e radicata in fondo all’anima, si allude all’arroganza, alla prepotenza, alla indifferenza per la legalità, ché questa non può costituire ostacolo per il solo senso ed obiettivo dell’esistenza: vincere. Perché «la vittoria è l’unica cosa che conta». L’ossessione per la vittoria, che rade al suolo qualsiasi altro valore. Segnatamente, tutti quelli che invece connotano la napolitudine (che non è ‘napoletanità’, né ‘napoletaneria’). L’umanità, la sensibilità, la generosità, l’apertura all’altro, la tolleranza, l’accoglienza, la solidarietà, la ricerca della bellezza e l’aspirazione a conseguirla, a coltivarla, a praticarla. E questo proprio sul piano filosofico, perché la nostra visione del mondo affonda le radici, non nell’inseguire uno stereotipato archetipo di bellezza (come si dice, non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace), ma nella continua ricerca di ciò che aggrada, soddisfa, appaga, di ciò che riempie l’anima. Sì, ci sono pure furbizia e scaltrezza. Però è certo che qui hanno scarsa cittadinanza egoismo ed egocentrismo. Al loro posto c’è leggerezza.
Ecco, sono questi i caratteri identitari del tifo azzurro, che segnano la differenza sostanziale con uno juventino. In questa accezione, essere ‘juventino’ indica un tipo antropologico: si può essere tale, paradossalmente, anche essendo tifosi di altra squadra. In ogni caso, un autentico napoletano, un vero tifoso del Napoli, è in contrappunto sia all’uno sia all’altro modo di intendere il lemma ‘juventino’. Insomma, è evidente perché il tifo per l’azzurro sia incompatibile con qualunque tifo ‘strisciato’, e in particolare con quello bianconero. È per questo che non mi rassegno nel mettere in guardia dal rischio di ‘juventinizzazione’. Perché, se si vuol evitare di correrlo, è importante tenere a bada il fascino seduttivo della cultura della vittoria ad ogni costo. Adesso ci manca solo Danilo (un giocatore, a prescindere, sul viale del tramonto) per completare l’opera.
2. Stare, o no, con Conte. Per quanto appena scritto, questo è un falso problema. Se stare contro di lui si risolve nel tifare contro il Napoli, la risposta è – neanche a dirlo – no. In realtà, le domande che il tifoso azzurro non può non porsi, sono altre: a) «pensi che si possa continuare a vincere senza schemi offensivi?»; b) «pensi che finora il Napoli abbia proposto riconoscibili schemi offensivi?»; c) «pensi che con il gioco di Conte il Napoli tornerà a vincere lo scudetto?»; e, infine, d) «ti senti rappresentato da un allenatore dichiaratamente juventino?».
Per amor del vero, quasi tutti – anche i suoi più convinti sostenitori – rispondono alle prime due riconoscendo le mancanze nel gioco d’attacco. Ma usano aggiungere (almeno sino adesso così hanno fatto): «Dimenticate la ‘grande bellezza’! Questo è Conte! Lo sapevamo! Ed era quello di cui avevamo bisogno! Si vince così! E l’importante è vincere!». Ciò significa dichiarare, in modo esplicito, che contano solo i risultati. I ‘risultatisti’ – lo si deve ammettere – sono privi di falsi pudori. Tuttavia, non si rendono conto che la loro stessa esistenza dipende esclusivamente dal conseguire i risultati. Se (e nella misura in cui) non arrivano, essi svaniscono, evaporano. Sono una categoria fondata sull’ex post.