
Stiamo facendo la storia... Tare arbitra il futuro. Maglia arancioverde, adesso è tutto chiaro
Quando ho iniziato ad amare il Milan non era un gran periodo e la prima stagione che ricordo, da studente di prima media, fu un bel concentrato di gioie e dolori che spettano a un tifoso: 1972-73. I rossoneri conquistarono Coppa delle Coppe e Coppa Italia, perdendo però lo scudetto all'ultima giornata in quello sconcertante 5-3 di Verona, superati di un punto dalla Juventus che - in svantaggio a Roma - ribaltò la partita vincendola nei minuti finali.
Poi Giagnoni e Marchioro, la battaglia di Gianni Rivera contro il presidente Albino Buticchi che voleva venderlo al Torino, la retrocessione scampata con Nereo Rocco richiamato in panchina a metà stagione 1976-77 e la Coppa Italia vinta subito dopo in finale contro l'Inter.
Nel 1979 il mio primo scudetto, che per la società era quello della stella, il decimo. Poi la retrocessione a tavolino per lo scandalo delle partite truccate, 2 anni dopo un'altra retrocessione sul campo, l'arrivo di Berlusconi e l'epopea della rivoluzione sacchiana, del capellismo, di Zac. In mezzo, quel biennio anonimo dal 1996 al 1998 con un inedito turbinio di allenatori cambiati, Sacchi e Capello richiamati, lo scudetto meraviglioso del '99, l'era psichedelica di Ancelotti, infine Allegri con lo scudetto vinto nel 2011 e regalato nel 2012, Muntari o non Muntari.
Paolo Maldini dice spesso, nelle sue interviste: "Ho vinto moltissimo, ma ho anche perso molto". E' la storia del Milan, dei grandi club che - quando non vincono - non sono come gli altri che non vincono e basta: i grandi club perdono.
Questa stagione sta facendo la storia in una beffarda, insopportabile spirale che svuota l'anima dei tifosi: ha conquistato il terzo trofeo degli ultimi 14 anni, la Supercoppa italiana; ha vinto a Madrid scrivendo una pagine che resterà comunque nella storia del calcio perché espugnare il Santiago Bernabeu in Champions è roba da pochi. Ciononostante, sta vivendo una delle stagioni storiche più negative degli ultimi decenni: per risultati, atteggiamenti, cambi di allenatore, episodi grotteschi di campo e non solo di campo, prestazioni indecenti, estri arbitrali, contestazioni cruente.
Il primo segnale difficilmente confutabile è stato il successore di Pioli. Oggi è triste e inutile nasconderlo, girarci in giro: i 5 anni di Stefano, segnati positivamente dal ritorno stabile in Champions, lo scudetto, 2 secondi posti e le semifinali europee del 2023, avrebbero meritato un deciso upgrade per trasmettere alla squadra, all'ambiente, la volontà di impreziosire ulteriormente il lavoro del 2020 in poi. C'erano Allegri, Conte, De Zerbi, Sarri, volendo persino Klopp sul quale il Milan di una volta avrebbe fatto un investimento spropositato. Con tutta la simpatia e l'affetto per Fonseca (già sostituto del mai ingaggiato Lopetegui), il suo profilo ha dato la sensazione di una navigazione a scartamento ridotto. Nessun potenziamento dei motori, salvo che poi invertisse la rotta (cosa che non è avvenuta). Questo ha avuto ripercussioni forti su una squadra già carente di suo di vitamine di personalità, leadership, ambizione.
Così, adesso la storia si sta facendo al contrario, farcita di questioni parallele spesso esterne a Milanello (come se già quelle non bastassero), con i media che sguazzano tra faide, litigi, contrasti, nebulosità presenti e future. In questo senso la partita del nuovo direttore sportivo potrà dire tutto sugli equilibri interni: Cardinale e Ibra, incontrati Berta, Paratici e Tare, hanno acceso i riflettori su quest'ultimo. Dall'altra parte l'agenzia CAA Base ltd si interfaccia con Furlani spostando l'attenzione su altri profili. Al DS - secondo Cardinale e Ibra - verrebbe data licenza di reperimento del nuovo allenatore e linee guida di mercato, d'intesa con il tecnico. La mancanza di coesione sulla scelta di Tare potrebbe essere un decisivo punto di svolta, per diradare finalmente le nebbie sugli equilibri. Vediamo se il viaggio newyorchese darà indicazioni e in quale senso.
Un paio di amici mi hanno severamente ripreso in questi giorni, spiegandomi ancora una volta come il marketing sia una scienza, come alcune scelte siano fatte in funzione dell'appeal anche scavalcando "retaggi" storici e tradizionali, sia pure solo cromatici. Li ho ringraziati, ma lo sapevo già. Poi mi hanno detto che le divise indossate contro la Lazio e che hanno suscitato ironie e critiche, hanno avuto un boom di vendite. Soprattutto all'estero. Se l'arancioverde sostituisce il rossonero e sbanca il botteghino, va bene così. Piaccia o no, la questione della quarta maglia (il fenomeno è esteso da anni a tutti i club, sia chiaro) è risolta.
Adesso speriamo, con la stessa scienza, di risollevare una rosa gravemente svalutata.







