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Dalla testa ai piedi, corsa ad handicap. Formazione, gioco, anima: troppi difetti. L’onestà di Pulisic. Guardiola e gli algoritmiTUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:00Editoriale
di Luca Serafini
per Milannews.it

Dalla testa ai piedi, corsa ad handicap. Formazione, gioco, anima: troppi difetti. L’onestà di Pulisic. Guardiola e gli algoritmi

È riuscita l'impresa di deprimere l'ambiente rossonero anche dopo una vittoria fondamentale per il cammino in Champions, la 3a consecutiva. A Bratislava c'era di fronte un avversario di almeno una categoria inferiore al Milan, ma a parte l'inizio fino al (solito) gol di Pulisic, per il resto questo divario non è più emerso grazie alla leggerezza con cui la squadra ha proseguito nel suo solfeggio, attorcigliandosi in attacco e abbandonandosi in difesa nelle solite ataviche mancanze che si ripetono da quasi 2 anni. 

I tifosi si scagliano contro la proprietà ogni volta che ci si incarta in campo, e accade sempre più spesso. Lo trovo assolutamente normale, sebbene io non sia uno che urla in tv o su YouTube, non insulti sui social e non lanci hashtag. La gestione sportiva di RedBird fino ad oggi comprende solo un secondo posto ed è chiaramente in rosso, al contrario dei conti in attivo. Lo sa perfettamente anche Gerry Cardinale, suppongo, e lo sa anche Ibra che vede a occhio nudo: immagino che a gennaio, nell'unico modo possibile per aiutare l'allenatore e la rosa, il mercato proponga un paio di scelte adeguate. Sulla comunicazione intermittente, sulla figura del direttore sportivo, sulla necessità di deviare da un percorso cocciutamente verticale, mi sono educatamente e civilmente espresso più volte, dopo di che preferisco occuparmi di cose di campo. 

Di Fonseca ad oggi abbiamo accertato solo che si tratta di una brava persona e come abbia qualche buona intuizione, per il resto anche qui il bilancio è rosso: punti e posizione in serie A sono deprimenti esattamente come il susseguirsi di prestazioni, formazioni, gioco e atteggiamento. Questi refrain della mancanza di equilibrio, continuità e fase difensiva si ripetono logorroici da gennaio dello scorso anno. Non è stato posto rimedio e continuo a credere fermamente che la soluzione non sia il continuo rimescolamento della coppia centrale, degli interpreti e dei moduli. Dice Sacchi che il Milan dovrebbe imporre il proprio gioco o quantomeno pensare solo a questo, senza adattarsi agli avversari. Concordo: sebbene in alcune occasioni (Inter, Real Madrid e persino Juve dopo la sbronza di Cagliari) valga la pena ritoccare il mosaico, si avverte il bisogno di una formazione-tipo, di una struttura su cui intervenire alla bisogna con una o al massimo due modifiche. Alla bisogna, ripeto. 

Questa difficile quadratura pone dubbi alla fine anche sul valore assoluto di alcuni giocatori. In un impianto che funziona, Jovic e Okafor subentrando dalla panchina lo scorso anno realizzarono 13 reti e fu importante anche Chukwueze in più di un'occasione: il primo è scomparso dai radar, il secondo confinato a sinistra non incide, il terzo cambia rendimento allo stesso ritmo dell'acconciatura. La postura di Emerson Royal è goffa, le critiche severe, eppure ha impacchettato Calabria in cellophane e naftalina. Tomori non cresce e anzi si involve, Pavlovic alterna interventi superbi a vuoti sconcertanti, i più lineari sono sicuramente Gabbia e Thiaw. Vediamo e sappiamo di una labile condizione fisica e mentale di Theo, siamo consapevoli che in questa squadra (che ha tutti i problemi del mondo, tranne quello del gol) i centravanti fanno in realtà i trequartisti se non addirittura i mediani. Loftus Cheek dovrebbe essere un gladiatore per fisico e tecnica, invece fa la sentinella di Buckingham Palace come se avesse davanti turisti e non avversari. Di Musah ancora non si capisce bene, le panchine non piacciono a Leao ma la spremuta parrebbe essere servita. Il Milan è aggrappato a lui, Fofana, Pulisic e Reijnders. 
A proposito di Pulisic: nonostante il suo gol e la vittoria contro lo Slovan, si è presentato ai microfoni a fine partita con aria dimessa, quasi sconsolata. Ha detto una frase molto efficace, onesta, sincera: "Quando giochi così, anche se vinci ti sembra che manchi qualcosa". Amen.

È insorto il politically correct contro Guardiola che si è presentato graffiato e tumefatto in volto, dopo lo sconcertante 3-3 contro il Feyenoord da 3-0 quando mancava un quarto d'ora alla fine e il suo City arrivava da 5 sconfitte consecutive. L'autolesionismo è una patologia delicata, come se Pep avesse voluto farne propaganda. Ho avuto in famiglia e nell'ambito delle amicizie persone che hanno sofferto di questo problema: non trovano consolazione, né tanto meno istigazione, sapendo che altri lo fanno. Persino celebrità, condottieri sportivi, uomini apparentemente infrangibili come Guardiola hanno i loro demoni: quello del tecnico catalano è l'ossessione alla Sacchi per il gioco, la vittoria, l'eccellenza. Il lavoro. Arrigo ha minato la sua salute, più o meno inconsapevolmente, mentre Pep ha deturpato il volto e la fronte. Alle persone intelligenti le lezioni debbono servire, dagli errori devono imparare. L'immagine non è stata il massimo, lasciamo da parte i moralismi però.

Gasperini deve avere delle scarpe traforate che incamerano sassolini ad ogni passo: invece di godersi il grande cammino della sua Atalanta in questi anni, non perde occasione per lanciare frecciate a turno. Spesso ha il Milan quale bersaglio: stavolta ha parlato di DeKetelaere come di un abbaglio degli algoritmi. L'ironia su questo tema è spesso molto mal riposta: l'elaborazione dei dati è sempre e solo l'ultimo dei temi di analisi di un calciatore quando viene acquistato, preceduto dalle caratteristiche, dalla personalità, dalla tecnica. Casomai è su questi ultimi argomenti che Gasperini potrebbe soffermarsi, piacendogli così tanto il sarcasmo. Così avrebbe modo spiegare (e noi di capire) perché i gioielli nerazzurri prima si appannano poi scompaiono quando lasciano Bergamo. Non alludo ad alchimie se non a quella di una piazza, una città, una società e - senz'altro - un allenatore privi di pressione e di tensioni, privi di traguardi obbligati se non quello di trovare e allevare talenti da rivendere, giocare bene, divertire divertendosi e magari vincere, come finalmente è capitato quest'anno. Allenare e giocare all'Atalanta è molto, molto diverso che al Milan, all'Inter, alla Juve, al Napoli, alla Roma, anche se probabilmente meglio. Sicuramente, meglio. Goditela in pace Gasp.